Relazione settimana


RELAZIONE

BISOGNO DI ASSOCIAZIONE E CRISI DELLE ASSOCIAZIONI

claudio-widmann                                                                                  Claudio Widmann

L’uomo come gregarious animal

È difficile dire se lo spirito gregario rientri propriamente tra gli istinti elementari dell’uomo; di certo è una sua esigenza imprescindibile.

Secondo una nota, ormai storica ricostruzione, ad un certo punto della propria evoluzione l’uomo si scoprì impotente nell’affrontare quello che Freud chiama “lo strapotere della natura”. Trovò soluzione alla propria impotenza nell’aggregazione. E fu una soluzione onerosa.

L’individuo singolo dovette rinunciare al primato di sé, all’arcaica tendenza ad usare l’altro in funzione dei propri bisogni, alla soddisfazione immediati dei propri desideri, alla possibilità di disporre pienamente di se stesso. Dovette apprendere la dipendenza, la soddisfazione differita dei desideri, a esistere (anche) in funzione dell’altro.

C’è una frustrazione di fondo al fondo di ogni organizzazione sociale, che Freud chiamo Il disagio della civiltà. Ma il titolo originario del lavoro in cui egli espone la sua teoria è DasUnbehagenderKultur e, senza bisogno di conoscere la lingua tedesca, si coglie ad orecchio che si tratta di un disagio insito nel trapasso dallo stato di natura allo stato di cultura.

La selezione  naturale favorisce chi vive in gruppo, non chi vive in isolamento e ciò fa dell’uomo un animale gregario. Ma forse lo è più per opportunità e talvolta per opportunismo che per vocazione. Se si osservano le modalità del gioco infantile, è facile notare che sono necessari anni perché i bambini apprendano a giocare con gli altri. Inizialmente giocano accanto agli altri, ma ciascuno per conto proprio. Ogni dilettantissimo coacher che allena ragazzini in squadre di calcio di quartiere o di parrocchia sa che lo “spirito di squadra” è un’acquisizione e una conquista. Di solito non facile.

Autore tradizionalmente alternativo a Freud, C. G. Jung avanza un’ipotesi per certi versi opposta e forse più azzardata. Egli osserva che prima che esista l’uomo, sulla terra esiste la Vita ed un meccanismo vitale simile anima tanto gli animali quanto gli uomini. (Nel caso delle scimmie, il fenomeno è macroscopico: il loro DNA è identico a quello dell’uomo circa per il 99% e vi sono scimmie più intelligenti di tanti portatori di handicap). Prima che esista questa o quella etnia, esiste l’Uomo e un fattore umano accomuna tutti i membri di tutte le etnie. In sintesi, per Jung l’uomo prima è collettivo e poi è individuale.

È connesso a questa doppia natura -collettiva e individuale- il paradosso di ogni persona, che è irripetibilmente diversa da tuttele altre e fatalmente simile a miliardi di altre. È banalmente esemplificativo il disagio nel ritrovarsi ad un evento sociale vestiti in maniera stridentemente diversa da tutti e il piacere di sfoggiare un tocco di ricercata originalità nell’adeguarsi a qualunque dress code.

Non è importante, qui, entrare nel merito dell’attendibilità delle ipotesi appena evocate. È importante rilevare che, nella loro diversità, entrambe mettono a fuoco l’ambivalenza tra l’uno e i molti, l’irriducibile contraddizione di ogni uomo di essere contemporaneamente individuale e collettivo. Entrambe rintracciano una conflittualità insita nella pulsione gregaria. Ogni formazione sociale risente di quest’ambivalenza e in quanto aggregazione sociale, il Rotary non si sottrae ad essa.

Nella misura in cui lo spirito giovanile è volatile ed episodico, teso ad affermare la propria soggettività e refrattario ad appiattirsi su trend consolidati, voglioso di emergere come individuo e desideroso di protagonismo, è anche difficilmente gregario. Avverte il bisogno di associarsi, ma prende le distanze dalle associazioni. Parallelamente all’estendersi dello stile giovanile, nei decenni più recenti, si è verificata una crisi generalizzata dell’associazionismo. Caserme e conventi si sono svuotate; circoli e fan-club sono in crisi di soci; le chiese lamentano la diserzione, i partiti politici accusano un’elevata volatilità. E il Rotary International registra la perdita di un milione di soci in dieci anni.

Dall’aggregazione al gruppo

Nei giovanissimi l’abilità relazionale è ancora incerta. La pulsione aggregativa spinge a rompere la diade madre-bambino e ad uscire dai minuscoli “gruppi primari” (famiglia e poco più) caratterizzati da rapporti intimi, legami di lunga durata, relazione vis-a-vis e comunque diretta. Diventa impellente sperimentare forme diverse di aggregazione. L’urgenza di uscire di casa, la varietà delle nuove frequentazioni, la confidenza con i familiari soppiantata dalle confidenze tra amici caratterizzano le condotte adolescenziali e sono indizi certi della forza che possiede la spinta aggregativa.

Contemporaneamente, la socialità sperimentata è ancora rudimentale. Talvolta si esaurisce nella forma più elementare della “aggregazione non organizzata”, che per la sociologia è un insieme di individui che si ritrovano nello stesso luogo nello stesso momento senza altro legame.

Ne sono un esempio i ragazzi che ogni sera tacitamente convergono con i loro motorini “nella piazzetta”, “alla cabina”, “sul muretto” e in altri luoghi convenzionali. La loro motivazione non va al di là del trovarsi con gli altri e ha per conseguenza la labilità dell’aggregazione. Giunta l’estate, ci si ritrova “al molo” anziché “al corso”, ma con le stesse modalità e la stessa regolarità.

Oppure si va in rete, si chatta con persone note e ignote, si postano immagini in facebook e si collezionano migliaia di “amici”, molti dei quali mai visti. La relazione vis-a-vis non è determinante.

In questo tipo elementare di aggregazione, accanto al criterio di vicinanza, si intravede spesso un elemento aggregativo più forte, il criterio di somiglianza. Ci si ritrova sulla base di una percezione di affinità che coglie gli altri simili a me per i contrasti con la famiglia, l’insofferenza per le costrizioni, il tedio per la scuola, la critica ai grandi  etc. Va da sé che anche il criterio della somiglianza è a rischio di labilità: al mutare di gusti e affinità, si cambia “compagnia”, “giro”, luogo di ritrovo.

Il criterio di somiglianza alimenta forme di imitazione intenzionale e non: si affinano gusti comuni, si adottano linguaggi condivisi, ci si uniforma a comportamenti omogenei. A volte si verifica una vera identificazione: un certo gruppo viene immaginato ideale-desiderabile e si cerca di aggregarsi ad esso per avere di sé una percezione ideale-desiderabile. Il singolo si percepisce (e valuta) in base a tale appartenenza, minimizzando le differenze intra-gruppali e massimizzando quelle inter-gruppali.

In questo modo il gruppo si fa contenitore dell’insicurezza personale e laboratorio di identità sociale. Nel contempo acquisisce un tratto essenziale che è la coesione. Essa è misura dell’intensità relazionale tra i membri e definisce il livello di cooperazione e solidarietà di cui sono capaci. I gruppi giovanili conoscono l’intensità relazionale e la capacità di cooperazione, ma hanno difficoltà a coniugare questi due elementi. Anche per questo hanno spesso le caratteristiche del branco.

Prima di assumere l’attuale connotazione spregiativa, un branco è semplicemente un gruppo che agisce in modo unitario per conseguire uno scopo condiviso. Spesso è un leader naturale (capobranco) che assicura la coesione interna e spesso l’aggregazione si scioglie al conseguimento dello scopo. Prima di essere una gang dedita al bullismo, il branco adolescenziale offre solidarietà nelle prove della scuola, copre la ragazzina che mente per andare in discoteca, intesse combines perché due si mettano insieme, aiuta il ragazzo ubriaco (dopo averlo incitato ad ubriacarsi).

Il branco è una forma aggregativa evoluta ed un gruppo poco evoluto.

Rotary e capacità associativa

In una società permeata dallo spirito giovanile le modalità aggregative dei giovani fungono da modello delle modalità consociative generali. È possibile, quindi, che -indipendentemente dall’età- chi si accosta al Rotary, lo faccia con i modi che caratterizzano lo spirito giovanile.

Il bisogno di associazione è autentico, ma viene coltivato in maniera sperimentale, con lo spirito di chi intende “fare un’esperienza”. Molta volatilità dei nuovi soci è legata a questo fattore.

Esiste la possibilità concreta che la partecipazione sia supportata dal puro principio di vicinanza: essere nello stesso luogo nello stesso momento in cui ci sono altri. È possibile che la mancanza di relazione personalizzata con l’altro mantenga le relazioni sul piano orizzontale delle convenzioni, escludendo l’approfondimento delle conoscenze e la profondità dei legami. Tra i propri principi il Rotary possiede un antidoto e un’opportunità nei confronti di queste modalità di “aggregazione non organizzata”. È il principio dell’amicizia, un criterio relazionale da sviluppare e valorizzare.

Che l’interesse per il Rotary sia alimentato da ricerca di affinità, di identità sociale, perfino da ambizioni di assimilazione, non è cosa né nuova né negativa in sé. È rischioso che il “principio di somiglianza” sia esclusivo ed opportunistico. Troppe esperienze dimostrano che persone particolarmente smaniose di essere cooptate scivolano rapidamente nel disinteresse e nella defezione. Ogni idealizzazione esasperata è destinata a sgonfiarsi nell’incontro con la realtà.

L’estemporaneità è uno dei tratti più rilevanti dello spirito giovanile e la volatilità è una caratteristica delle sue aggregazioni. Il coinvolgimento attivo e forme almeno minimali di relazione diretta tra individui sono misure necessarie e talvolta non sufficienti per contrastarla. Intercettare gli interessi reali (sottolineando reali) dei soci è compito spesso trascurato dai Club; imporsi un criterio di assiduità è un impegno spesso trascurato dai Soci. L’uno e l’altro sono indispensabili per antagonizzare il burn-out che nella nostra epoca caratterizza ogni associazione.

Lo spirito giovanile slanci di idealità e picchi di intensità. Ma per definizione un picco è limitato nel tempo e la desistenza è l’esito frequente dell’elevata intensità. L’entusiasmo operativo e la capacità di cooperazione ne sono invece l’implicazione positiva.

Una socialità mirata all’obiettivo è particolarmente funzionale al lavoro su progetti e non è un caso che nel Rotary la centralità dei progetti sia cresciuta parallelamente alle modalità giovanili d’aggregazione. La psicologia del branco (nell’accezione non spregiativa sopra precisata) affida ai leaders il compito di promuovere “dall’alto” la coesione che non sorge “dal basso”. Anche per questo la concezione del leader e del suo ruolo necessita di approfondimenti e di costante aggiornamento.

A chi segue l’impulso gregario spinto dal desiderio di sperimentarsi nella realtà e diaffinare la propria identità, il Rotary propone modelli di identificazione elevati. Le concezioni passatiste dell’élite di casta, di classe e di ruolo sono definitivamente archiviate, ma rimane storicamente vero che il Rotary appartiene all’associazionismo d’élite e rimane vero che fin dagli inizi coltiva un obiettivo autenticamente elitario: promuovere lo “specifico umano”.

Esprimere il meglio che un uomo ha potenzialmente in sé attiene al senso dell’associazione rotariana.