Relazione settimana

RELAZIONE

Edoardo

 

Edoardo Catelani, nato a Firenze l’8 aprile 1978, residente a Firenze. Dopo aver studiato al liceo classico, si iscrive alla Facoltà di Economia dell’Università di Firenze, dove consegue la laurea in Economia e Commercio nel 2002; frequenta poi un Dottorato di Ricerca presso l’Università di Bologna dove consegue il titolo nel 2007. Attualmente è docente a contratto dell’insegnamento di Economia degli intermediari finanziari a Firenze. E’ autore di varie pubblicazioni in materia creditizia e finanziaria. Nonostante gli studi universitari in ambito economico è sempre rimasto molto legato alle materie umanistiche, specialmente alla Letteratura italiana, anche se non è sempre facile per lui trovare il tempo per approfondire determinate tematiche.

 

 

Il “Quantitative Easing” della Banca Centrale Europea

Per “Quantitative Easing” (QE) si intende un programma di acquisto di titoli di Stato effettuato per un certo periodo di tempo da una Banca Centrale. Si tratta di uno strumento di politica monetaria mediante il quale si immette liquidità nell’economia di un paese o di una regione al fine di stimolarne la crescita economica. Dobbiamo qui ricordare che le Banche centrali hanno a disposizione numerosi strumenti mediante i quali riescono a regolare la quantità di moneta in circolazione: esiste infatti una domanda di moneta, fatta dal sistema economico, e un’offerta, fatta invece dalle Banche centrali che materialmente stampano moneta (a volte in modo virtuale, non solo emettendo banconote o monete metalliche; anzi, la maggior parte della moneta generata è solo un numero su un conto corrente, ma non per questo non ha le caratteristiche della moneta che noi conosciamo). L’offerta di moneta è stabilita dalle Banche centrali non solo, com’è ovvio, in relazione alla domanda, ma anche in base a determinati obiettivi che i banchieri centrali, di volta in volta, perseguono. Gli strumenti a disposizione delle banche centrali per regolare la quantità di moneta in circolazione, come accennavo prima, sono vari; tutti comunque si basano sui rapporti che le banche centrali intrattengono con le banche di credito ordinario, quelle cioè che alle quali fa riferimento la clientela, sia come depositante o correntista, sia come soggetto che prende a prestito somme di denaro. La Banca centrale, quando ha necessità di creare moneta, concede prestiti alle banche di credito ordinario dietro garanzia di titoli che la banca possiede. La lista dei titoli che possono essere utilizzati per questo tipo di operazioni è decisa dalla singola banca centrale rifinanziatrice; nel caso della BCE, si tratta di titoli di Stati europei, che hanno la caratteristica di essere altamente solvibili. I prestiti così effettuati hanno una scadenza: se non rinnovati al momento in cui scadono, la banca di credito ordinario che ha preso un prestito dalla BCE è tenuta a restituirlo, in cambio ovviamente dei titoli concessi a garanzia. Se questo accade, la BCE ha raggiunto l’obiettivo di eliminare liquidità dal mercato.

Il QE è un rimedio di carattere straordinario, che solitamente viene messo in pratica quando i metodi ordinari di immissione ed eliminazione di liquidità dal sistema non bastano più. Viene infatti solitamente eseguito per periodi di tempo limitati (anche se non necessariamente brevi; anzi, di solito per funzionare questi programmi hanno necessità di essere messi in pratica per almeno due anni). Una volta che l’economia è in ripresa, e che quindi il QE ha svolto la sua funzione, le Banche Centrali solitamente chiudono il programma e spesso fanno l’operazione opposta, cioè tendono a eliminare liquidità dal sistema. Questo perché di solito l’effetto collaterale del QE è una risalita dell’inflazione, che erode il potere di acquisto dei consumatori. Inoltre, siccome spesso – ma non è il caso dell’Europa, come avrò modo di dire più sotto – i programmi di QE provocano un aumento enorme del debito pubblico degli Stati, prima il programma cessa, meglio è per le casse dello Stato interessato.

Alla fine di gennaio 2015, per la prima volta nel corso della sua seppur breve storia, la Banca Centrale Europea (BCE) ha lanciato un programma di QE volto a stimolare la ripresa economica nella zona dell’euro. La BCE ha infatti deciso di acquistare dalle banche europee titoli di Stato dal marzo 2015 al settembre del 2016 per un totale di circa 1.000 miliardi di euro (60 al mese) e comunque, fino a quando l’inflazione non sarà vicina al 2%, come ha precisato Mario Draghi, presidente della BCE, nella conferenza-stampa indetta per annunciare il QE. I titoli saranno acquistati dalle banche europee che di solito ne detengono in grandi quantità, e non dai singoli Governi al momento dell’emissione, operazione esplicitamente vietata dai Trattati dell’Unione Europea. Le banche che si rifinanzieranno presso la BCE con queste modalità, avranno la possibilità di acquisire risorse liquide per finanziare il settore imprenditoriale.

Nel corso dell’operatività ordinaria, la BCE, quando acquista titoli per rifinanziare le banche, ne assume anche il rischio di insolvenza. Non così sarà in questo caso: il Consiglio Direttivo della BCE ha infatti convenuto che il rischio sul debito non sarà a totale carico della Banca Centrale Europea, ma sarà suddiviso: il 20% alla BCE e il restante 80% a carico delle singole banche centrali nazionali, cioè dei rispettivi Governi emittenti. Non è una semplice curiosità: significa che gli Stati europei non si assumono se non in parte (solo il 20%) il rischio dell’insolvenza di uno Stato dell’Unione.

Altro effetto, fortemente auspicato dalla BCE, del programma che sarà iniziato a marzo, sarà quello di far salire l’inflazione, considerato che l’aumento della moneta in circolazione fa aumentare i prezzi. L’Europa è ormai da un po’ di tempo in una situazione in cui l’inflazione è troppo bassa e una bassa inflazione danneggia le imprese, che sono costrette ad abbassare i prezzi, con conseguenti cali dei fatturati. Non solo: l’inflazione bassa è indice di un basso potere di acquisto delle famiglie che quindi, non facendo più acquisti come un tempo, inducono una contrazione dei consumi e, in ultima analisi, del PIL. Anche se l’inflazione salirà in Europa, non è tuttavia detto che arrivi vicino alla soglia del 2%, obiettivo che si è data la BCE e di cui ho detto sopra.

La BCE è stata l’ultima delle Banche centrali dei paesi più sviluppati a lanciare un piano di QE: dal 2008 in poi sia la FED (Stati Uniti), che la Banca d’Inghilterra che la Banca del Giappone hanno messo a disposizione delle rispettive economie con questo meccanismo moltissima liquidità, servita a rifinanziare il sistema produttivo e, almeno in parte, a rilanciare le rispettive economie. Queste Banche centrali non hanno ancora terminato la loro opera: la FED ha diminuito l’anno scorso le iniezioni di liquidità, attestandosi sui 40 miliardi al mese, la Banca d’Inghilterra ha disposto un programma di 375 miliardi di sterline ancora da completare e la Banca del Giappone ha di recente ampliato il proprio programma di sostegno all’economia (il Giappone ha da anni il problema della bassa inflazione e della recessione economica e solo in parte è riuscito a risolvere i suoi problemi con i programmi di immissione di liquidità nel sistema). C’è però un differenza fra le Banche centrali citate e la BCE: quest’ultima infatti è l’unica ad essere un organismo sovranazionale. Questo fatto ha alcune conseguenze di non poco conto. La prima è a livello di decisioni da prendere: come dirò anche più sotto, non è facile mettere d’accordo i Governatori delle 18 Banche centrali che compongono l’eurozona. La seconda riguarda invece la spesa pubblica: di solito le politiche monetarie espansive di una Banca Centrale funzionano meglio se il Governo corrispondente alla Banca centrale emittente espande la spesa pubblica. Così è successo ad esempio, negli Stati Uniti. In Europa però, la mancanza di un Governo unitario e, soprattutto, i vincoli alla spesa pubblica imposti dai Trattati Europei, rischiano di contenere gli effetti del QE. In parte questo problema dovrebbe essere superato dal piano di investimenti per 300 miliardi di euro che la Commissione Europea ha annunciato qualche mese fa.

Per ammissione stessa della BCE, il QE è l’ultimo strumento a sua disposizione per rivitalizzare l’ormai asfittica economia europea. Non è infatti la prima volta che la BCE ci prova: dal 2010 in poi essa ha messo in atto numerosi programmi per cercare di rifinanziare l’economia attraverso i prestiti alle banche di credito ordinario. Ha rifinanziato le banche europee con prestiti a tassi sempre più bassi e per somme molto elevate, addirittura alcune volte concedendo tutta la liquidità richiesta dal sistema, mentre normalmente è la BCE a decidere quanta liquidità immettere. Nel corso del 2014 ha attuato programmi di rifinanziamento nei quali poneva un vincolo alla liquidità erogata: controllava quindi che le banche utilizzassero i fondi presi a prestito per finanziare il sistema produttivo e non se ne servissero per altri usi, come avvenuto nel passato più o meno recente. Tutto questo, evidentemente, non è bastato: il sistema produttivo non trova nelle banche una fonte di finanziamento per le sue esigenze, come invece avveniva fino a qualche anno fa. Da qui, la decisione della BCE di acquistare titoli di Stato attraverso il QE. Non tutti comunque in Europa sono stati d’accordo nel varo di questo programma: la Germania si è detta contraria, soprattutto perché i Trattati della Unione Europea vietano l’acquisto di titoli di Stato direttamente dall’emittente, cioè lo Stato che li emette. Anche in questo caso si è giunti ad un compromesso: la BCE acquisterà i titoli dalle banche che li detengono e non direttamente dai Governi al momento dell’emissione. Inoltre, anche l’assunzione del rischio da parte delle singole banche centrali nazionali per l’80% è stato un compromesso per poter procedere con il programma di acquisti.

Merita considerare, infine, che la politica monetaria, seppur fondamentale, non può fare tutto da sola: essa fornisce soltanto un aiuto in più ai Governi, che comunque devono fare uno sforzo per promuovere lo sviluppo economico sui propri territori di appartenenza.

 

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