Relazione settimana

RELAZIONE

 

CristinaLa medicina per l’arte, la medicina per gli artisti

Cristina Franchini – (Sono nata a Imola, ma gli studi, fino alla maturità li ho compiuti in Sudamerica. Tornando in Italia mi sono iscritta a Bologna dove mi sono laureata in Medicina e Chirurgia, ho conseguito le specialità di Clinica Ortopedica a Firenze e Reumatologia a Ferrara.
Vivo a Imola con mio marito che è rotariano da molti anni, abbiamo 3 figli e, per ora, 2 nipotini.
Nella professione sono uno specialista ambulatoriale per le ASL della Romagna e di Imola, e mi interesso allo studio delle patologie da sovraccarico nei musicisti e non solo.
Mi piace molto leggere e viaggiare. Non so fare musica ma ascolto di tutto anche se preferisco la musica classica.
Credo nella amicizia e nel libero scambio di idee. Conosco il Rotary da molti anni e mi onora farne parte.)

Negli anni ’80 a seguito di un’intervista al New York Times in cui due grandi professionisti della musica raccontarono di quali seri problemi di salute fossero affetti, come ciò fosse correlato alla professione, e in che modo questo limitasse l’attività musicale, ci fu un risveglio da parte del pubblico e da parte degli artisti stessi.

Iniziò così a svilupparsi lentamente la consapevolezza, da parte degli artisti, della necessità di fare attenzione al proprio corpo, di dovere “curare” il corpo, di poter ammettere che nella professione ci potevano essere delle difficoltà tali da rendere non perfetta la performance ed delle possibilità terapeutiche e preventive.

Cosi è nata la medicina rivolta all’artista, all’esecutore artistico. Poco alla volta sono comparsi studi, convegni, riviste, associazioni dedicate agli artisti.

In realtà già agli inizi del 1700, Bernardino Ramazzini scrive nel suo “De morbis artificum diatriba” – prima opera di studio epidemiologico e malattie professionali dei lavoratori – come anche tra i musicisti esistessero delle patologie causate dal loro mestiere, in particolare egli parla dei flautisti.

Sono passati molti anni da allora, e la branca medica stenta a svilupparsi anche perché ci sono state forti difficoltà e resistenze da parte di maestri di musica, studenti, ambiti musicali, scuole di musica, conservatori, medici, e del sistema in generale.

Perché, succede? Per vari motivi tutti importanti e determinanti.

Alcuni di questi, secondo la mia esperienza, sono che molto spesso, il “fare musica” non è considerato un lavoro; la competitività insita nell’ambiente artistico porta i musicisti a negare i problemi, la necessità di interrompere seppure temporaneamente l’attività è paventata e temuta, quindi si rinforza la necessità di negare.

L’entità delle patologie, per lo più minori, è raramente invalidante per un soggetto qualsiasi ma non per un musicista. Le correlazioni tra attività musicale e patologie sono spesso poco note ai medici e sono poco attraenti.

Esiste ed è riconosciuta come branca specialistica la medicina del lavoro, ma non per una professione così specifica come la performance musicale.

Eppure le richieste fisiche sono enormi. Un artista deve provare e riprovare, deve essere in condizioni di ripetere esattamente più volte la stessa musica, con lo stesso impeto, espressività e perfezione. A differenza di altri lavoratori un musicista non può interrompersi, non può sospendere una sonata o un concerto perché è in difficoltà, ho ha un dolore, o un crampo, o altro.

Ma di quali condizioni parliamo?

Ad un primo sguardo chi sente parlare di patologie negli artisti pensa subito alla mano e pensa alla chirurgia, ma questo è sbagliato, è prima, molto prima, che si deve intervenire.

Si tratta per lo più di problemi di sovraccarico funzionale e posturale, conseguenti al prolungato mantenimento di posture errate, al movimento insistente e ripetuto necessario in taluni passaggi, allo studio per ore, allo stress delle ripetizioni, alle difficoltà della vita di un’artista.

Più del 50% degli studenti di musica ha problemi di salute; per questo la prevenzione della salute dovrebbe cominciare già fin dagli albori dell’insegnamento strumentale.

La cura e la prevenzione in campo lirico e nei cantanti di musica leggera è altrettanto importante e per le sue peculiarità più sviluppata e conosciuta in quanto l’artista stesso percepisce nel proprio corpo lo strumento.

In questo progetto mi sono dedicata soprattutto ai musicisti strumentisti.

Nel 1996 ho dato avvio ad un Gruppo di Studio che chiamai “MEDART” – Medicina e Artisti -, per riunire operatori di varia estrazione ed interesse: musicisti, ballerini, medici specialisti in varie branche, psicologi, fisioterapisti, odontoiatri, insegnanti, dietologi e mettere tutti in condizioni di dialogare, allo scopo di proporre delle risposte concrete e globali ai “dolori” degli artisti. Tale cooperazione si dovrebbe articolare su diversi punti, primo dei quali la diffusione dell’educazione alla salute, per prevenire l’eventuale comparsa di disturbi specifici, e non, connesse alla pratica artistica.

A tal fine è però necessaria la collaborazione delle strutture musicali, dei conservatori, delle scuole di musica o gruppi musicali.

Ognuno dei componenti dovrebbe interessarsi, per la parte che gli compete, alle particolarità tecniche delle pratiche artistiche, alla terapeutica legata a queste pratiche; alla prevenzione degli squilibri posturali e comportamentali, sia nello studio che nell’esecuzione, alle patologie tossicologiche, reumatologiche e dermatologiche; alle lesioni dell’udito, della bocca, del laringe; ai traumi, alla rieducazione in seguito a sospensione dell’attività dovuta anche per cause diverse dalla pratica musicale.

Tutto questo è ben sviluppato soprattutto nei paesi anglosassoni come Inghilterra, Germania e negli Stati Uniti, Nuova Zelanda e Francia. Ci sono cliniche musicali, ospedali dedicati, ambulatori e corsi di prevenzione che vedono artisti e sanitari lavorare assieme allo scopo di approfondire i vari argomenti.

Molto importante è il settore dell’ergonomia.

Gli strumenti hanno delle esigenze posturali specifiche e in un certo qual modo imperative: pensiamo alla tenuta di un violoncello, di un’arpa, di una tuba.

Ma occorre anche tenere presente che la forma dello strumento non è talvolta negoziabile, pena la perdita di sonorità, di timbro e per ultimo l’estetica, la grazia. Ogni strumento ha diversità strutturali, alle quali il musicista si deve adattare, trovando tutte le strategie tecniche peculiari, per creare il più bel suono possibile. Esistono inoltre altre variabili nel rapporto musicista strumento, quali le differenze morfologiche, che giocano un ruolo importante a livello esecutivo, e che il musicista deve rendere variabili plastiche e non difficoltà tecniche.

Agli inizi degli anni 2000 c’è stato un certo interesse e attenzione in questo settore, e anche in Italia sono stati organizzati alcuni interessanti congressi di alto livello. Con alcuni colleghi abbiamo cercato di coinvolgere enti pubblici, non ultimo l’INAIL, ma con poco successo.

Personalmente ho tenuto lezioni in alcuni conservatori e scuole musicali e nel 2000 ho organizzato il contatto tra Superquark, la Scuola di Musica G. Sarti Faenza ed altre strutture in Italia per un documentario sulle patologie degli artisti.

Oggi ci sono ancora serie difficoltà, soprattutto economiche, per realizzare programmi di prevenzione e organizzare momenti di ascolto per i musicisti, nelle scuole o nei teatri, per preparare il personale medico specializzato.

È un percorso in salita che richiede l’attenzione di tutte le figure coinvolte ma già vedo un rinascere di interesse soprattutto dei giovani musicisti, favoriti dall’attenzione che pongono al corpo ed alla salute fisica e mentale.

In conclusione è la prevenzione della salute una materia importante da incorporare nell’insegnamento dei futuri maestri di strumento e vocalità, occorre arrivare a tutti i professionisti presenti e futuri ma anche fare attenzione alla gran de massa si autodidatti che fanno musica.