Relazione settimana

RELAZIONE
Tommaso Guerini
Avvocato penalista, specializzato in diritto penale commerciale e dell’Economia.Iscritto all’ordine degli Avvocati del Foro di Bologna.
Dopo avere studiato al Liceo Ginnasio L. Galvani di Bologna, si laurea in giurisprudenza, summa cum laude, discutendo una tesi in diritto penale con il Prof. Filippo Sgubbi.
Viene selezionato da Alma Graduate School per partecipare al Master “BEST 2007”, riservato ai cinquanta migliori neolaureati italiani di quell’anno.
Immediatamente dopo la laurea comincia a collaborare con le cattedre di Diritto Penale della Scuola di Giurisprudenza dell’Università di Bologna, sotto la guida del Prof. Filippo Sgubbi e del Prof. Gaetano Insolera.
Dal 2010, inoltre, collabora con il Prof. Nicola Mazzacuva, svolgendo attività di docenza nell’ambito del corso di Diritto Penale Commerciale.
Dottorando di ricerca in diritto penale, i suoi principali ambiti di interesse scientifico riguardano la responsabilità da reato delle società e degli enti, il diritto penale fallimentare e il diritto penale societario.
Dal 2013 entra a far parte del Comitato di Redazione della Rivista Ius17@unibo.it-Casi e materiali di diritto penale, diretta dal Prof. Nicola Mazzacuva.
Oltre all’attività di docenza presso l’Università di Bologna, è stato relatore a numerosi convegni.
Parallelamente all’attività scientifica, l’Avv. Tommaso Guerini esercita la professione forense in ambito di diritto penale dell’economia, occupandosi di reati fallimentari, reati ambientali, reati in materia di tutela della proprietà industriale, responsabilità amministrativa da reato delle società e degli enti.

In Giustizia
Riflessioni di un avvocato sulla condizione attuale dell’Amministrazione della Giustizia in Italia e prospettive di riforma

 

Il titolo di questo mio intervento è ispirato a due libri, molto diversi tra loro nello spazio e nel tempo.

Il primo è un recente saggio di Giancarlo De Cataldo, scrittore di successo – è suo il meraviglioso “Romanzo Criminale”, sulle vicende della Banda della Magliana – ma soprattutto giudice di Corte d’Assise, intitolato appunto “In Giustizia”, in cui racconta la sua esperienza di vita quotidiana.

Il secondo testo al quale mi sono ispirato è invece un vero “classico” della letteratura giuridica: il celebre “Elogio dei giudici, scritto da un avvocato” di Piero Calamandrei.

Nel prosieguo del mio intervento chiarirò i motivi di questa scelta, ma prima voglio soffermarmi su alcune considerazioni introduttive.

In primo luogo, ragionare Amministrazione della Giustizia, significa affrontare un punto nodale dell’attività di una nazione moderna, se è vero che le prerogative di uno stato moderno sono la moneta, la feluca, la toga e la spada.

In altri termini, il potere di battere moneta (che abbiamo perduto, ma questa è un’altra storia), di esercitare la diplomazia, di amministrare la giustizia e di muovere guerra.

Inoltre, ragionare di riforme ancora oggetto di discussione significa necessariamente prendere una posizione “politica”, alla quale è impossibile sottrarsi.

Voglio pertanto chiare sin d’ora il mio punto di vista: l’amministrazione della Giustizia in Italia è in crisi e deve essere riformato.

Rectius: avrebbe dovuto essere riformata già da alcuni decenni e il ritardo accumulato non è in alcun modo razionalmente giustificabile.

Altro punto per me fondamentale: giudici, pubblici ministeri e avvocati contribuiscono assieme al corretto funzionamento del sistema e nessuna riforma dovrebbe essere fatta per “punire” questa o quella categoria, ma solo per rendere efficiente un sistema che è percepito da tutti – addetti ai lavori o semplici cittadini – come profondamente ingiusto.

Perché questo è: la Giustizia, in Italia è ingiusta, ben oltre il limite fisiologico.

Non stupisca questa mia ultima affermazione: affrontare il concetto stesso di Giustizia significa infatti parlare – anche – di ingiustizia.

Infatti, se è vero che l’essere umano si caratterizza per il bisogno di distinguere ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, è altrettanto vero che, all’interno di questa dicotomia, mentre l’ingiustizia è un fatto empirico, tangibile e sperimentato, la Giustizia è invece una pulsione interiore, una visione di salvezza, un ideale che prevede la costruzione di un sistema differente dall’attuale.

In pratica, secondo le parole di Gustavo Zagrebelsky e Carlo Maria Martini: “l’idea di Giustizia nasce dall’esperienza di un’ingiustizia, subita da noi o da chi ci è caro”.

Senza ingiustizia, non sarebbe possibile costruire un ideale di Giustizia.

Come ha scritto un grande giurista italiano del ‘900, Federico Stella, nel suo “La Giustizia e le Ingiustizie” “la Giustizia è una meta che una società giusta cerca di raggiungere, ma una meta che si allontana ad ogni passo che viene compiuto”.

E ancora, citando Sebastiano Maffettone e Salvatore Veca, nel loro “L’idea di Giustizia da Platone a Rawls”: “tutti parlano sicuramente di questioni di Giustizia, ma, al tempo stesso, si riferiscono a cose diverse tra loro. Uno potrebbe avere la sensazione di essere come intrappolato in un guazzabuglio semantico, cominciando a pensare che il termine “Giustizia” abbia più significati incompatibili tra loro e si potrebbe in conclusione ritenere che chi sia alla ricerca di un percorso unitario e ragionevolmente coerente potrebbe essere semplicemente vittima di una illusione verbale. Ingannati dall’identità della parola, andremmo così alla ricerca di concetti che, al contrario della parola, non hanno identità tra loro”.

Poste queste – brevi – premesse filosofiche, vediamo nello specifico quali sono i principali “nervi scoperti” del sistema attualmente vigente, per poi affrontare i 12 punti che il Governo ha presentato come base per la riforma prossima ventura.

1. I tempi: la giustizia civile è congestionata da alcuni decenni. Il tempo gioca sempre a favore di chi ha torto e sacrifica il diritto di chi ha ragione. Si tratta di un sistema che affligge tutti i cittadini, ma che rappresenta un costo sociale per l’intero sistema economico, poiché allontana i capitali stranieri.

Secondo il Ministero: “un’impresa operante in Italia per ottenere il pagamento di un credito vantato nei confronti di altra azienda ricorrendo al giudice, deve attendere per un tempo anche triplo rispetto ai concorrenti operanti in altri Paese industrializzati.

Si rivela così con evidenza come la lentezza dei procedimenti civili costituisca ostacolo alla crescita economica, oltre a dar vita a sistematiche violazioni del termine di ragionevole durata del processo di cui all’articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848.

2. I costi: avere Giustizia costa caro: non solo per via dei bolli e delle tasse che affliggono qualsiasi deposito di atto. Un sistema “appesantito” e bizantino favorisce il moltiplicarsi dei costi, a partire dalle parcelle degli avvocati. Spesso, poi, la parte soccombente non rifonde le spese alla parte vincitrice.

3. L’inefficienza: gli uffici giudiziari sembrano spesso usciti dalla penna di Kafka. Parlo da penalista: la rivoluzione digitale si è arrestata davanti alla soglia dei Tribunali e delle Procure. Ogni attività prevede l’utilizzo di quintali di carta, timbri, bolli ecc. Il computer o gli iPad servono solo per distrarsi nelle pause di attesa. Per i civilisti esiste la consolle dell’Avvocato, ma il sistema deve essere ancora implementato.
4. La responsabilità dei magistrati: l’attuale normativa, prevista dalla cd. legge Vassalli del 1988, prevede limitazioni per il ricorrente che restringono le possibilità di accesso all’azione di responsabilità e producono delle ricadute sull’azione di rivalsa.

Il risarcimento per l’errore del magistrato, che risponde solo per dolo o colpa grave, è a carico dello Stato – quindi di tutti noi – che può rivalersi nei confronti del singolo giudice nel limite di 1/3 del suo stipendio annuale.

Occorre quindi una rivisitazione dell’impianto normativo che dia piena effettività allo strumento di tutela.

Anche la Corte Europea di Giustizia sollecita una maggiore effettività nelle procedure previste per il riconoscimento delle responsabilità conseguenti alla errata applicazione del diritto comunitario da parte del giudice.

Esistono poi alcune questioni specifiche, che riguardano in particolare la materia penale.

1. Il sovraffollamento carcerario

2. Le intercettazioni telefoniche

3. La prescrizione

Per riformare la Giustizia, il Governo ha annunciato – i maligni potrebbero dire che annunciare piace molto a questo Governo – 12 punti chiave.

Non si tratta di progetti di legge, ma di linee guida, che potete leggere al sito: https://www.giustizia.it/giustizia/it/mg_2_7.wp

Non sta a me giudicare sull’efficacia di queste proposte.

Voglio però concludere riprendendo un pensiero di Luigi Zoja, che dovrebbe tenere presente il legislatore ogni volta che affronta il tema della Giustizia.

Nel suo “Giustizia e Bellezza”, lo psicanalista osserva che dalla fine del XIX secolo, quando Nietzsche annuncia la morte di Dio, l’uomo è solo e deve ricercare da sé ciò che distingue il giusto dall’ingiusto.

Quando muore Dio – unico e ultimo dispensatore della Giustizia – l’uomo non eredita un mondo estraneo alla Giustizia, ma una responsabilità divina”.