Relazione settimana

NEL  SEGNO  DELLA TRADIZIONE

ROMAGNA POPOLARE, a cura di LILIANA Vivoli

Nel mese di  dicembre nelle nostre terre, molte sono le storie e le azioni che i popolani, i contadini  usavano, ma forse usa ancora, compiere per rendere omaggio al Signore e rendere propizio l’aNno  in arrivo

A dicembre:  

Venticinque novembre, Santa Caterina: si annunciava il Natale e si facevano previsioni del tempo con i detti:

Da Santa Catarena a Nadèl, un mésuguél

Par Santa Catarena la nevaint la culena; par Santa Catarena la nevaint la finistrena.

Ma il pronostico sul tempo derideva gli uomini creduloni e voleva aver ragione in tutti i modi:

par Santa Catarena, o che e’piov, o che e’neva, o che e’brena, o che tira la curena, o che u j è la paciarena.

Le vecchiette iniziavano la novena dei treds pater di Santa Caterina, per propiziarsi il favore di una grazia che sarebbe stata chiesta e concessa la notte di Natale.

Il due dicembre, Santa Bibiana, si ripeteva il pronostico sul tempo per i quaranta giorni seguenti:

se e’piov per Santa Bibiana, e piov quaranta dè e una stmana.

(L’esigenza della rima richiedeva l’aggiunta di sette giorni).

La serie delle festività di dicembre è elencata nei versetti popolari:

Il quattro Santa Barbara beata,

il sei San Nicolò che vien per via,

il sette Sant’Ambrogio di Milano

l’otto Concezion Santa Maria.

Il dodici convien che digiuniamo

Il tredici ne vien Santa Lucia

Il ventun San Tomè: la chiesa canta.

Il venticinque abbiam la Festa Santa

Il giorno di Santa Lucia era ritenuto il giorno più corto che ci sia, come al tempo in cui l’equinozio d’inverno cadeva il 13 dicembre. La Santa era pregata per conservare la vista: la fiera allestita in suo onore anticipava i doni del presepe e della cappa del camino.

La vigilia di Natale le donne nascondevano la rocca e la districavano dal lègolo.

Credevano che, se avessero trascurato questa usanza, avrebbero commesso la colpa di costringervi i capelli della Vergine per filarli e farne una camiciola per il nato Signore nato in povertà.

Si finiva di allestire il presepe, dove il Bambino sarebbe comparso a mezzanotte, sulla paglia. Dopo recitato il pater, si accendeva nel camino il gran ciocco che doveva durare ad ardere sino all’Epifania: gli ultimi suoi carboncelli, per compensare il dono del tepore offerto al Bambinello, avrebbero acquistato virtù miracolose contro il fuoco e la folgore. Attorno al camino, vero cuore della casa, in segno di ospitalità, si disponevano due sedie e un seggiolino per la Santa Famiglia in cammino, e si preparavano fasce e pannolini di bucato per il Bambino.

Le vecchie si radunavano presso una famiglia ospitale, vestite con gli abiti migliori, chiuse negli scialli di lana pesante.  Compivano in comitiva un viaggio virtuale verso Betlemme, e camminando sulla strada delle loro orazioni giungevano alla santa culla a mezzanotte, e inginocchiate sulla pietra nuda, pregavano il Salvatore.

Si andava alla messa di mezzanotte accesa di ceri come un cielo stellato, mentre le cornamuse portavano l’eco dei lontanissimi cori degli angeli, oppure si assisteva alle tre messe della mattina, a onore del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.

La mattina di Natale si indossava una camicia nuova, che avrebbe preservato dalle malattie per tutto l’anno. Questa camicia miracolosa doveva essere donata da una persona di famiglia, ed era importante che questo dono fosse tagliato e cucito la notte di Natale. Un’altra tradizione gentile era il dono della ragazza al fidanzato: il cosidetto “pane di Natale”, un dolce rustico con noci e uva passa.

A mezzogiorno la tavola era imbandita con cappelletti, cappone lessato e il vino migliore. Il vino che fosse restato nel boccale, non bevuto, lo si gettava accosto a una vite perché tutte facessero abbondanza di grappoli.

Si curavano le bestie nella stalla, specialmente il bue e l’asino per rispetto agli animali del presepe, e l’agnellino, che nel presepe di Romagna non manca mai.

Nelle chiese, i bambini recitavano i sermoni.

Al ventotto, giorno dei Santi Innocenti, il presepe rimaneva spento e si nascondeva il Bambinello, nella convinzione di sottrarlo ad Erode. Erano i giorni della fuga in Egitto, e si ricordavano i miracoli di quel periodo: il miracolo delle rose fiorite in grembo alla Madonna per nascondere il Bambino, il miracolo del salice piangente che allungò i suoi rami fino a terra per proteggere il Bambinello alla vista dei soldati, il miracolo dei lupini che rinsecchiti schioccavano sotto gli zoccoli dell’asinello a indicare, crudelmente, la strada della fuga: per cui la Madre li maledisse rendendoli amari al sapore.

Al trentuno, San Silvestro, si scambiavano gli auguri per l’anno che si rinnovava. Tutti i debiti si pagavano con l’intenzione di non ripeterli. Si aveva premura di non lasciare incompiuto o imperfetto un lavoro iniziato. Si faceva il proposito di correggere vizi e sanare colpe. Si veglia per sentire i dodici rintocchi della mezzanotte. Le persone riunite provavano a indovinare la “ventura” per l’anno che arrivava.

La vinturaera una monetina, oppure un cece, o una fava, che veniva nascosto nell’impasto di una grande piada. Questa si tagliava a fette e chi trovava il segno nella propria fetta era nominato ‘e lovv, il lovo, ossia il ghiotto della compagnia, oppure ‘e furtunè, il fortunato. Infatti il ritrovamento del segno, nelle giornate dedicate per eccellenza agli auguri, significava una previsione di buona sorte.

Poi veniva capodanno… ma questa è un’altra storia!  Liliana Vivoli

Raccontata da Luciano De Nardis, folklorista e redattore de “La Piè”, e autore delle note sulle tradizioni popolari sotto il titolo “A la garboja” (cioè “A racimolare”)