Relazione settimana

Riforma Cartabia: quali novità, esiti e sviluppi?

 

Preliminarmente va ricordato che il d.d.l. A.C. 2435 è stato presentato il 13 marzo 2020 dall’allora Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Il d.d.l. faceva seguito all’impegno di accompagnare al blocco della prescrizione del reato dopo il primo grado, realizzato con la l. 9 gennaio 2019, n. 3, una riforma del processo penale capace di assicurare la celere definizione dei procedimenti nei giudizi di impugnazione, privati del metronomo rappresentato dalla prescrizione del reato. L’impegno era stato accompagnato dalla scelta del Parlamento di differire al 1° gennaio 2020 l’entrata in vigore della riforma della prescrizione del reato.

Il contesto nel quale si inserisce il d.d.l. è nel frattempo ulteriormente mutato: non solo per il cambio del Governo e della maggioranza che lo sostiene, ma per l’approvazione del PNRR, che impone l’obiettivo della riduzione del 25% dei tempi del giudizio penale, anche e proprio nei giudizi di impugnazione, privati del metronomo-prescrizione.

Nelle scorse ore, sono stati depositati gli emendamenti proposti dal Governo alla legge delega sulla riforma del processo penale.

Ad una prima lettura, il testo parrebbe essere un innesto, sicuramente migliorativo, inserito nel disegno di legge delega -licenziato dall’ex Ministro Bonafede- ispirato ad obiettivi di controriforma di quel processo penale accusatorio da sempre ed osteggiato da larga parte della magistratura e dalle forze politiche di schietta ispirazione giustizialista. Parrebbe anche essere frutto di chiaro tentativo di mediazione all’interno di una maggioranza politica emergenziale che, proprio sui temi della giustizia, soprattutto quella penale, ha manifestato e tutt’ora manifesta i contrasti più inconciliabili perché dichiaratamente identitari.

Possiamo quindi discutere di ambizioni di riforma di autentica natura? Forse si potrebbe esigere un quadro politico e, soprattutto, parlamentare ben diverso da quello oggi presente. Lamentela che avevo già avuto modo di avanzare, in corso di pandemia, come avvocato penalista.

In ogni caso, semplificando, le prospettive di riforma sono state dichiaratamente circoscritte ad interventi volti a ridurre i tempi del processo penale.

Due sono le assolute priorità: il superamento del blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado e l’intangibilità delle regole dell’appello penale.

Quanto poi alle nostre proposte di riforma per una ragionevole riduzione dei tempi del processo penale, esse sono così riassumibili: controllo giurisdizionale sui tempi di durata delle indagini; indicazione parlamentare delle priorità di esercizio dell’azione penale; rafforzamento della funzione di filtro della udienza preliminare; forte potenziamento dei riti alternativi e delle altre forme di soluzione negoziale del processo; rafforzamento del sistema delle pene alternative.

La introduzione della prescrizione processuale dopo la sentenza di primo grado è certamente demolitiva delle premesse logiche della riforma Bonafede, il cui superamento non può che essere apprezzato.

Del pari, va nel complesso accolto con soddisfazione l’abbandono dell’idea di trasformare l’appello penale in un giudizio cosiddetto “a critica vincolata”, così trasfigurandolo da giudizio sul fatto a giudizio sull’atto.

Quanto invece alle proposte caldeggiate per raggiungere l’obiettivo di una indispensabile riduzione dei tempi di definizione dei processi penali, il testo ad oggi licenziato dal Governo appare segnato da più di un ridimensionamento,

Occorre ribadire, in conclusione, che la strada maestra per ridurre con efficacia i tempi del processo penale senza pregiudizi per il diritto di difesa dei cittadini è e resta quella di investimenti per assicurare al Paese più magistrati, più personale, più digitalizzazione. I fondi europei devono essere lo strumento per finalmente adeguare gli uffici giudiziari a quegli standard di efficienza ed operatività il cui gravissimo deficit costituisce la vera e decisiva ragione del default della giustizia nel nostro Paese.

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Così definite le valutazioni d’insieme sul complesso degli emendamenti alla legge delega qui di seguito ho sviluppato un brevissimo esame dei più significativi emendamenti.

Videoregistrazioni. si stabilisce il principio secondo il quale l’interrogatorio della persona sottoposta ad indagini e l’atto di assunzione delle dichiarazioni della persona informata sui fatti debbano essere videoregistrati. La proposta governativa sconta però il limite di non essere assistita da sanzione processuale ed anzi di prevedere una deroga per la «contingente indisponibilità degli strumenti necessari o degli ausiliari tecnici».

Il processo penale telematico. Gli emendamenti in tema di digitalizzazione e di processo penale telematico accolgono la richiesta dell’Avvocatura di una entrata a regime graduale, che preveda anche discipline transitorie al fine di consentire l’adeguamento della macchina processuale ai nuovi strumenti e comunque rimedi per le ipotesi di malfunzionamento.

La vittima di reato. I punti relativi alla figura della vittima di reato si limitano a proporre una estensione della operatività delle norme introdotte con la l. n. 69/2019 (cd. Codice rosso). Il Governo ha abbandonato le opportune limitazioni alla costituzione di parte civile proposte dalla Commissione presieduta da Giorgio Lattanzi.

La giustizia riparativa È sostanzialmente rinviata alla fase di attuazione della delega l’individuazione dell’esatto portato della nuova disciplina.

Tempi delle indagini e criteri di selezione. Gli emendamenti governativi al progetto di riforma correggono le storture più evidenti che il precedente Esecutivo aveva prospettato. Finalmente è accolta l’ipotesi di controllo sul tempo della iscrizione e la sua eventuale retrodatazione da parte del Giudice.

Riti speciali.  deludente l’intervento sui riti speciali. Deve tuttavia essere salutata con favore la rimodulazione delle ostatività e la riduzione degli effetti penali della sentenza di applicazione della pena.

Il dibattimento. Da segnalare la correzione di rotta rispetto alla riforma Bonafede in tema di lettura degli atti, operata recuperando le indicazioni della sentenza della Corte costituzionale n. 132/2019. È soluzione non condivisa e incompatibile con la natura accusatoria del rito, ma che quantomeno ferma il tentativo di rendere sempre utilizzabili le prove precedentemente raccolte in caso di mutamento del collegio giudicante.

Impugnazioni. Fermo l’apprezzamento per l’abbandono della originaria idea demolitiva dell’appello come secondo giudizio sul fatto, l’ipotesi di riforma governativa esige un ulteriore ripensamento. Non può non sottolinearsi come siano superate le velleità della proposta Bonafede sulle modalità di smaltimento dell’arretrato e sul ricorso a procedure semplificate nel caso di declaratoria di inammissibilità. Debbono però essere stigmatizzate le residue proposte che mirano ad ostacolare l’accesso al giudizio di appello. Le esigenze di specificità dell’atto di appello sono già ben delineate nel vigente codice di rito, dopo la recente riforma Orlando dell’art. 581 lett. D) c.p.p. Un nuovo intervento, a nemmeno tre anni di distanza da quella specifica riforma, non risponde a nessuna plausibile e razionale giustificazione.

È necessario l’impegno delle forze parlamentari che condividono i principi del diritto penale liberale e del giusto processo per un subemendamento della delega in esame.

Prescrizione. La soluzione individuata per definitivamente superare la abolizione della disciplina della prescrizione dopo il giudizio di primo grado poteva essere più lineare, mantenendosi nell’area della prescrizione sostanziale. Certamente si rendono necessari interventi per evitare soluzioni paradossali come quelle per le quali una causa di improcedibilità dell’azione possa travolgere non tanto l’atto proprio dell’Ufficio di accusa, quanto la stessa sentenza di assoluzione, situazione paventata anche recentemente dal Professor Coppi.

Carlotta Toschi