Riunione ordinaria n. 08 del 9 settembre 2014: "L’evoluzione della medicina" – Massimo Del Gaudio
Relazione settimana
RELAZIONEL’evoluzione della Medicina – Massimo Del Gaudio
Il rapportarsi e l’intendersi tra persone sono categorie che inquadrano quell’arte lunga della cura che è la medicina, da Ippocrate a oggi. In medicina, la “rivoluzione tecnologica” ha segnato, come per legge dialettica di evoluzione storica e di mutazione genetica, da un lato l’avvento di grandi conquiste con molte ricadute a vantaggio degli uomini, dall’altro l’imporsi di un cambiamento di rotta del mestiere di medico con ricadute non vantaggiose nel rapporto d’intesa tra medico e paziente.
La seconda metà del XX secolo si è aperta con un evento epocale: la “rivoluzione terapeutica” inaugurata dagli antibiotici. Fu questa terapia rivoluzionaria a risolvere in pochi anni, nei paesi nord occidentali del globo, i problemi biologici, clinici, sociali che avevano travagliato per secoli l’umanità. Agli antibiotici si aggiunsero il cortisone, gli psicofarmaci, i nuovi vaccini i nuovi farmaci salvavita. La rivoluzione in medicina proseguì con l’avvio della rianimazione, con il decollo della chirurgia in settori ritenuti impraticabili, con l’impresa dei trapianti d’organo supportati dalla nuova immunologia. Le nuove bioimmagini corporee e la nuova genetica hanno completato questo sviluppo novecentesco che ha contribuito, in buona parte, a quella rivoluzione anagrafica che, nell’arco di un secolo, ha raddoppiato l’aspettativa media, alla nascita, degli anni da vivere. E’ paradossale, che nel corso di un tale trionfo della medicina, sia venuta formandosi in coloro che ricorrono al medico, accanto alla fiducia forse eccesiva di molti, l’insoddisfazione di quanti non mancano di esternare l’opinione, tacitamente condivisa su larga scala, che la medicina odierna ha acquistato in tecnologia quel che ha perduto in umanità.
Augusto Murri, il maggior clinico italiano fra Ottocento e Novecento, amava ricordare la propria esperienza di medico di base dicendo Ai medici futuri (Roma 1920):
ai tempi miei il medico condotto era un pover’uomo che per poche decine di lire doveva saper fare tutto […]. Uscito dalla scuola e balestrato in una povera condotta di campagna su per gli Appenini, conobbi ben presto quanto pochi de’ miei maestri mi eran stati benefici. […] Là fra voi è un infelice, che non fida che in voi e che vi affida tutto se stesso; c’è un solo giudice, ma incontestabile, la coscienza vostra.
Non si può disconoscere che taluni aspetti in essa adombrati, come la fiducia del paziente e la coscienza attivatrice del medico, “uomo di scienza e coscienza”, caratterizzano problemi attuali, non caduchi, perenni, concernenti l’essere medico.
I futuri medici sono tuttora avviluppati da una ideologia formativa che a tutte le giovani leve professionali prescrive l’informatica come base disciplinare, l’inglese come lingua madre, l’intrapresa come spirito virtuoso. Ma per fare il meglio si devono evitare le distorsioni prevaricatrici sulla cultura del medico.
Sempre più frequentemente vi sono medici che visitano in rete, perché via mail c’è più confidenza.
Sarebbe giunto il momento non di criticare, ma favorire le consultazioni in rete: l’opportunità sarebbe quella di dare risposte in tempo reale, quando invece un appuntamento vis-à-vis richiede un tempo variabile, dal momento della richiesta, dai 30 ai 60 giorni.
Tale iniziativa ha avuto un convinto fautore nel medico inglese Tony Steele, creatore di un sito web nel quale visita virtualmente i pazienti e prescrive farmaci con ricette elettroniche. Così facendo, a suo dire, non solo si risparmia tempo, ma anche si facilita il dialogo su questioni imbarazzanti quali i problemi legati alla sfera sessuale.
Dove sta andando a finire il rapporto tra il medico che guarda negli occhi il paziente e questi che si aspetta dal primo uno sguardo d’intesa? Il radicale dissenso da opporre all’iniziativa di questi medici web, twitteristi, e-doctors, si basa sul fatto incontestabile che le loro non sono vere visite, benché si giovino dell’equivoco oggi dominante nella sanità per il quale le visite sono ridotte a prestazioni e come tali etichettate nel linguaggio corrente.
C’è inoltre da obiettare che queste teleprestazioni virtuali mettono a repentaglio la privacy, che può venire compromessa. Il dissenso prescinde dall’uso benvenuto del computer nella prassi diagnostico-terapeutica. Nel rapporto medico-paziente, tertium datur: il computer è utilissimo. I medici d’oggi possono gestire al meglio una serie di dati, collegarsi in rete con i centri di ricerca più avanzata e specializzata, applicare protocolli codificati e seguire linee guida.
Le consultazioni computerizzate secondo il metodo medline permettono di acquisire con parole chiave le informazioni più complete ed esaustive sopra un dato argomento. La metodica fa del medico non solo uno studente a vita, ma addirittura un ricercatore quotidiano.
Una sollecitazione che giunge al medico d’oggi è quella di praticare la Evidenced-Based Medicine (EBM), una medicina basata non tanto sull’evidenza quanto sulla testimonianza, tale essendo il significato letterale in lingua inglese.
Si tratta di una medicina, nata sulla scia degli insegnamenti di Cochrane, che si basa su prove testimonianti l’efficacia di una diagnosi o di una terapia. Procurarsi tali prove è oggi possibile non solo visitando i malati, ma anche o soprattutto attingendo alle risorse offerte dall’informatica, la quale da risposte attendibili a chi sappia formulare domande pertinenti.
Però si può condividere l’istanza contenuta nell’apparente paradosso che davanti al paziente e dietro al computer ci dev’essere Ippocrate.
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