Relazione settimana

RELAZIONE

IL BICENTENARIO DELL’ARMA DEI CARABINIERI. STORIA E RIFLESSIONI

(a cura di E. Ripari)

Marce Militari Italiane La Fedelissima Marcia d’Ordinanza dell’Arma dei Carabinieri[1] (MP3)

 

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Carabinieri nella tormenta. Opera dello scultore fiorentino Antonio Berti 1973

Nasce la Benemerita

Il Corpo dei Carabinieri fu costituito da Vittorio Emanuele I di Savoia a Torino il 13 luglio 1814, su pressioni del barone Des Geneys, Maggiore Generale della Armata di Fanteria e Capo Squadra della Marina piemontesi, preoccupato per le minacce di ordine pubblico seguite alla caduta di Napoleone, nel giugno di quell’anno era stato stilato dalla Segreteria di Guerra un «Progetto di istituzione di un Corpo militare per il mantenimento del buon ordine» in cui la nuova polizia doveva assumere molteplici compiti: «Si farà ogni giorno da due carabinieri d’ogni Brigata a cavallo un giro di pattuglia sulle strade principali, quelle di traversa, sulle strade vicinali, nei comuni, casali, cascine ed altri luoghi del distretto di ciascuna Brigata […]. I Marescialli e Brigadieri marceranno coi Carabinieri per i suddetti giri di pattuglia, anche per i compiti di servizio sia ordinario che straordinario […]. I Carabinieri arresteranno i malviventi di qualunque specie anche se semplicemente sospetti, colti in flagrante contro i quali la voce dei cittadini richiederà la loro azione». I casi straordinari d’intervento dei carabinieri comprendevano fra l’altro: furti con scasso, incendi, assassinii, rapine a corrieri governativi, diligenze cariche di munizioni o soldi dello Stato, rapimenti, repressione dello spionaggio e del contrabbando, lotta ai falsari.

Il testo delle Regie Patenti, pubblicate appunto il 13 luglio, recita:
Per ristabilire ed assicurare il buon ordine, e la pubblica tranquillità, che le passate disgustose vicende hanno non poco turbata a danno dei buoni e fedeli Nostri sudditi, abbiamo riconosciuto che sia necessario mettere in atto tutti quei mezzi, che possono essere confacenti per scoprire e sottoporre al rigore della Legge i malviventi ed i male intenzionati, e per prevenire le perniciose conseguenze, che da simili soggetti, sempre odiosi alla Società, possono derivare a danno dei privati cittadini, e dello Stato. Abbiamo già a questo fine dato le Nostre disposizioni per stabilire una direzione generale di Buon Governo, specialmente incaricata di vigilare al mantenimento della sicurezza pubblica e privata, e di affrontare quei disordini, che potrebbero turbarla. E per avere i mezzi più pronti ed adatti allo scopo prefisso con una forza ben distribuita. Abbiamo pure ordinato la formazione (che si sta compiendo) di un Corpo di militari, distinti per buona condotta e saggezza, chiamati col nome di Corpo dei Carabinieri Reali. Essi avranno le speciali prerogative, attribuzioni, ed incombenze finalizzate allo scopo di contribuire sempre più alla maggiore prosperità dello Stato, che non può essere disgiunta dalla protezione e difesa dei buoni e fedeli Sudditi nostri, e dalla punizione dei colpevoli.

I Carabinieri cominciarono ad operare con una forza di 27 ufficiali e 776 sottufficiali, tra cui quattro marescialli a piedi e tredici a cavallo, cinquantuno brigadieri a piedi e sessantanove a cavallo.

Il corpo fu articolato in Divisioni (o gruppi territoriali), ognuna delle quali aveva sotto di sé una serie di Luogotenenze che coordinavano le “Stazioni”, capillarmente distribuite su tutto il territorio e comandate da brigadieri. Scopo di questa strutturazione, considerata di primaria importanza e sostanzialmente attuata fino ai nostri giorni, era di costituire una prima linea di difesa territoriale per il controllo della criminalità. Il loro “battesimo del fuoco” risale al 5 luglio 1815 a Grenoble: durante l’ultima campagna napoleonica, i reparti dei carabinieri a cavallo caricarono le truppe francesi, contribuendo alla vittoria. L’ordine del giorno del 7 luglio dichiara il valore dei carabinieri «maggiore di ogni elogio».

L’Arma e l’Italia unita

Subito dopo l’Unità d’Italia, che avevano contribuito a realizzare, i Carabinieri dovettero fronteggiare il fenomeno del brigantaggio alimentato dalle forze borboniche e antiunitarie e dallo scontento del Meridione. Questa guerra interna ebbe un lungo elenco di vittime, non solo tra i briganti.

Il 1 settembre 1862 i carabinieri Eustachio Barra e Giuseppe Russo rientravano alla loro stazione dopo aver tradotto in carcere quattro detenuti. Nei pressi del paesino di Atella i due vengono accerchiati da quindici briganti guidati dal capobanda Coppa, i cui uomini seminavano il terrore in Campania.

Catturati e spogliati delle loro armi e degli effetti personali, furono invitati a unirsi alla banda, ma Barra e Russo rifiutarono seccamente. Alcuni banditi fecero fuoco e Russo morì sul colpo. Barra, ferito, si finse morto. I briganti, avvertito un rumore, sparirono nel bosco, e di lì a breve alcuni bersaglieri, uditi gli spari, si precipitarono a soccorrere il ferito. La prova di fedeltà fu ricompensata con due medaglie d’argento.

Carabinieri in trincea

Nel maggio del 1915 fu costituito il Reggimento Carabinieri su 9 Compagnie, fornite dalla Legione Allievi e dalle Legioni territoriali di Firenze, Ancona, Parlermo, Bari e Napoli. L’ingresso dell’Italia nel secondo conflitto mondiale era ormai imminente. Al reparto (65 ufficiali e 2500 tra sottufficiali e carabinieri) si aggiunsero un Gruppo di Squadroni a cavallo, 257 Plotoni autonomi e 168 I Carabinieri furono presenti sia nelle retrovie sia in prima linea. I loro compiti erano molteplici: recapito di ordini, servizi di sicurezza, polizia giudiziaria, vigilanza sanitaria, sicurezza delle comunicazioni, repressione dello spionaggio. Nelle operazioni militari si distinsero in particolar modo alla pendice di Podgora. Furono i primi a entrare a Gorizia e Trieste.

Nel corso dei quattro anni di guerra caddero 1400 carabinieri; 5000 furono feriti. Reparti e singoli militari, combattenti in Patria e all’estero, furono decorati con: una Croce dell’Ordine Militare d’Italia, quattro Medaglie d’Oro, trecentoquattro d’Argento, trecentotrentuno di Bronzo e ottocento Croci di Guerra al Valor Militare.

Dal primo dopoguerra al secondo conflitto mondiale

I Carabinieri hanno operato su tutti i fronti in cui ha combattuto l’esercito italiano.

Nel primo dopoguerra costituirono nel 1921 i «Battaglioni mobili», reparti specializzati per affrontare situazioni in cui l’ordine pubblico è minacciato da folle di dimostranti turbolenti. In questo periodo si resero protagonisti di uno dei primi episodi di resistenza armata all’ascesa del fascismo. Il 21 luglio 1921, a Sarzana, in provincia di La Spezia, un gruppo di seicento squadristi comandati da Amerigo Dumini giunse in città per liberare alcuni fascisti rinchiusi nella carcere-fortezza Firmafede. L’azione fu impedita da un comando di Carabinieri, guidati dal capitano Guido Jurgens, e da militari di stanza nella città, che costrinsero alla fuga la colonna.

Essi sono particolarmente orgogliosi della memoria del vicebrigadiere Salvo D’Acquisto, morto a Torre di Palidoro, vicino a Roma il 23 settembre del 1943, ucciso dai tedeschi per rappresaglia dopo essersi autoaccusato, benché innocente, di un presunto attentato in cui erano morti due militari germanici, per salvare 22 condannati a morte. Furono simili comportamenti altruistici a guadagnare all’Arma l’appellativo di «Benemerita». Va tuttavia segnalato che durante il Ventennio fascista essi si ritrovarono a dover applicare e far rispettare le rigide leggi dell’epoca, comprese le vergognose leggi razziali. Nello stesso tempo, va ricordato che in quegli anni circa 2700 carabinieri furono deportati per essersi rifiutati di obbedire alle forze militari nazifasciste

Il secondo dopoguerra

Nel solo 1946 le statistiche del crimine elencarono: 2.160 omicidi, 10.708 rapine, 330 sequestri di persona, 1.162 estorsioni, 155.019 furti aggravati, 123.878 furti. Questo bilancio spaventoso era ulteriormente aggravato dalle sanguinose rivolte che esplosero in moltissime carceri (a Bologna, a Torino, ad Alessandria, a Forti, a Pavia, a Genova) e che furono represse, con molta durezza, con l’intervento di carri armati, autoblindo e truppe di fanteria. Nel carcere di San Vittore, a Milano, i detenuti entrarono in rivolta, con furia selvaggia, il 22 aprile 1946. Soltanto il tempestivo intervento di un autoblindo dei Carabinieri, che bloccò il portone del carcere, riuscì a impedire un’evasione di massa.

In quell’anno le perdite dei Carabinieri furono impressionanti: 101 morti e 757 feriti, l’equivalente di una compagnia distrutta e un battaglione fuori uso.

Il nuovo governo, in base alla valutazione del momento storico, decise di rifondare la Pubblica Sicurezza (PS), organizzata militarmente anche se dipendente dal Ministero dell’Interno. Il dualismo con i Carabinieri poteva comportare disagi, incertezze e duplicazioni, ma garantiva all’Esecutivo una maggiore libertà di manovra. Nel 1947 la rinascita della polizia fu consacrata dalla creazione dei cosiddetti reparti celeri. Fortemente voluta dall’energico ministro degli Interni Scelba, la Celere si costruì una fama interna di inesorabile pacificatrice di disordini.

Nella Repubblica l’Arma fu riorganizzata. Grazie al Generale Giovanni De Lorenzo, comandante del Corpo dal 1962 al 1966, l’Arma fu dotata delle famose “gazzelle”, di elicotteri e di una Brigata Meccanizzata con centotrenta carri blindati M47. Questa Brigata è stata oggetto di critiche all’epoca, perché istituita senza il consenso parlamentare. Proprio il Generale De Lorenzo fu il protagonista di una vicenda legata a un progetto di colpo di Stato da parte dei Carabinieri (il cosiddetto «Piano Solo»). Una commissione d’inchiesta, nominata nel 1969 per indagare sul piano golpista, si spaccherà sull’interpretazione degli eventi: difensivi secondo la maggioranza (capeggiata dalla Democrazia Cristiana), colpo di Stato pianificato nel giudizio della minoranza (Partito Comunista Italiano). Ad ogni modo, l’indagine parlamentare sottolineò, al di là della controversa azione del comandante e di alcuni ufficiali, che l’Arma si era sostanzialmente tenuta distante dall’iniziativa.

La lotta al terrorismo

Negli «anni di piombo» le forze speciali dei Carabinieri dovettero fronteggiare gruppi terroristici armati estremamente pericolosi per le istituzioni: non solo le Brigate Rosse, ma gruppi di estrema destra come di estrema sinistra, passati dalla propaganda violenta alla lotta armata clandestina.

Attorno al Nucleo Speciale Carabinieri, l’Arma creò una più ampia struttura anticrimine, con il compito di raggiungere una conoscenza globale della minaccia e di tradurla in termini di contrasto operativo. Era chiara la necessità di adottare metodi e mentalità differenziate rispetto a quelli utilizzati contro la criminalità comune; bisognava affrontare il nemico sul suo stesso terreno, con gli strumenti e le tecniche più adatti per contrastare quel tipo di organizzazione, sostenuta da motivazioni ideologiche e radicata nel tessuto sociale. Innanzitutto, dunque, ricerca di informazioni qualificate e capillari, che da tutti gli innumerevoli comandi territoriali dell’Arma affluissero continuamente agli specialisti, in grado di analizzarle e sfruttarle in modo scientifico e coordinato. Le Sezioni Speciali Anticrimine, pur dirette a livello centrale, avevano poi ricevuto aree di competenza corrispondenti alle zone ove operavano le strutture eversive, e in particolare le colonne delle Brigate Rosse, al fine di essere ancor più aderenti all’esigenza.

La lunga campagna contro l’eversione, mai completamente cessata, ha prodotto un ulteriore risultato per l’Arma, con la formazione di una nuova cultura investigativa basata sull’approccio sistematico e fenomeni criminali e sul contrasto diretto delle organizzazioni. Ha scritto Alessandro Politi: Questo metodo, inizialmente patrimonio della ristretta componente anticrimine, è stato assimilato e adottato da tutti i Reparti investigativi dell’Arma e, con gli opportuni adattamenti, è divenuto lo strumento per affrontare in modo sistematico e permanente le non meno temibili organizzazioni della criminalità mafiosa.

Criminalità organizzata e intrecci politici

La sfida più difficile per le forze dell’ordine viene oggi da quei profondi intrecci politici, economici, sociali e culturali che sono alla base delle attività criminali concentrate in Sicilia, Calabria e Campania e poi diffuse in tutta la nazione. Malcostume e corruzione politica hanno esteso ovunque, infatti, la criminalità organizzata. È noto il caso della Puglia: dal 1985 la Nuova Camorra Organizzata del boss Raffaele Cutolo si è saldata alle strutture criminali locali, facendo crescere vertiginosamente il potere mafioso della regione, combattuto dalla forze di polizia ma ignorato da quelle politiche. Ancor più diffuso è certo il fenomeno mafioso, contro cui l’Arma dei carabinieri ha nel decenni dispiegato le sue forze. Nota ad esempio è la vicenda del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nominato nel 1982 Prefetto di Palermo allo scopo di contribuire alla lotta contro Cosa Nostra. Si deve ai Carabinieri importanti arresti: Luciano Liggio, primo capo dei «corleonesi», il ricordato Raffaele Cutolo e, soprattutto, Totò Riina, capo indiscusso della mafia siciliana.

Calamità naturali e soccorsi

Tra gli altri compiti dei Carabinieri resta fondamentale quello del soccorso delle popolazioni vittime di catastrofi naturali. Proprio in queste occasioni i Carabinieri si sono distinti guadagnandosi medaglie al Valor Civile. Ne fanno fede numerosi esempi: i terremoti di Casamicciola del 1833, quello di Messina del 1908, e ancora di Marsica del 1915 e del Vulture nel 1930; l’alluvione del Polesine del 1951, il disastro del Vajont del 1963, l’alluvione di Firenze del 1966, i terremoti del Friuli del 1976, della Campania e della Basilicata del 1980, l’alluvione del Piemonte e dell’Emilia Romagna del 1994.

Un bicentenario tra luci e qualche ombra

Numerose in tutta Italia sono le iniziative per il bicentenario della fondazione dell’Arma: iniziative istituzionali o private, commemorative o celebrative che si susseguiranno per tutto il 2014, nelle grandi città come nei piccoli comuni. I Carabinieri, invocati nei momenti del bisogno, celebrati per arresti eccellenti (dal terrorismo alla mafia), e insieme canzonati in centinaia e centinaia di barzellette, restano l’istituzione nazionale più popolare. Sopravvissuti a due secoli, nonostante le grandi trasformazioni della società, hanno avuto ruolo di primo piano nell’impedire derive del potere, e talvolta nel frenarne i processi di crescita. «Fedeli nei secoli», sono testimoni di una storia di molte luci e qualche ombra. Ha osservato lo storico Gianni Oliva:

Difensori dell’ordine assolutista fino al 1948; difensori dell’ordine liberale dopo la svolta costituzionalista di Carlo Alberto e Vittorio Emanuele II; difensori dell’ordine nazionale dopo l’Unità; difensori dell’ordine di regime nel ventennio; difensori dell’ordine democratico del secondo dopoguerra. Sul piano storico sono due secoli di luce e di ombre nelle quali si riflettono le luci e le ombre della storia nazionale; sula piano istituzionale sono invece due secoli di fedeltà allo Stato intenso nel suo senso più alto e più nobile. E quando chi rappresenta lo Stato è entrato in conflitto con chi rappresenta il potere politico, i Carabinieri non hanno avuto dubbi e si sono schierati compatti col primo. Vale la pena ricordare che il 25 luglio 1843, quando Vittorio Emanuele III liquida il fascismo, sono i carabinieri fedeli al re (e quindi allo Stato) ad arrestare Mussolini all’uscita dall’udienza con il sovrano.

Bibliografia

Alessandro Politi, I Carabinieri. Dalle origini alla lotta alla mafia, 22 fasc. consultabili sul sito http://www.carabinieri.it/Internet/Arma/Ieri/Storia/Vista+da/
Storia documentale dell’arma dei Carabinieri. Verso l’Italia unita. Dalla carica di Pastrengo alla terza guerra d’indipendenza, di A. Ferrara – Arma dei Carabinieri, Roma, 2006;
Gianni Oliva, Storia dei Carabinieri dal 1814 a oggi, Milano, Mondadori, 2002;
«La Repubblica» di Torino, 13 luglio 2014;

Edoardo Ripari svolge attività didattica e di ricerca all’Università di Bologna. È autore di numerosi saggi e articoli sulla civiltà storico-letteraria italiana tra fine ’500 e inizio ’900.