Riunione ordinaria del 17 giugno 2014: "Il caso dei marò ancora detenuti in India" – Alessandra Nucci
Relazione settimana
RELAZIONEI MARO’ ANCORA DETENUTI IN INDIA
La vicenda dei marò italiani, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, accusati di omicidio volontario dalle autorità del Kerala, nell’India meridionale, per lungo tempo sui giornali è stata legata sempre e solo al tema della giurisdizione e dell’immunità. Si è persa cioè del tutto di vista fin da subito la possibilità che i marò fossero innocenti.
In India, viceversa, l’unico interrogativo che si sono posti per lungo tempo le autorità è stato: a chi va il merito di aver piegato la volontà dell’Italia? La scelta era fra: il ministro degli esteri, l’opposizione, la Corte Suprema oppure infine, nelle parole di un parlamentare del Kerala, “lo sforzo collettivo del popolo, del parlamento e della giustizia indiana”? Questo basta a dare un’idea dell’investimento emotivo ed idealistico investito da quel Paese sulla vicenda, da loro vissuta e comunicata in termini di sdegno e offesa iper-nazionalistica.
Ma l’incredibile è che anche in Italia la presunzione di innocenza sia andata subito a farsi friggere. Ciò è dovuto alla linea del governo Monti, che (per distrazione? insipienza? colpevole pressapochismo? altro….) si è precipitato subito a pagare un indennizzo alle famiglie delle vittime, profondendosi in scuse, prima ancora di partecipare a qualsiasi indagine, e intimando ai marò, che disciplinatamente hanno obbedito, di restare muti. Quanto al rappresentante del governo Staffan de Mistura, diceva una cosa in Italia, e un’altra al Hindu Times, al quale dichiarava che si era trattato di “un evento tragico che nessuno avrebbe voluto accadesse”…
Per mancanza di tempo lascio ad altri o ad altra occasione il tema del diritto internazionale e del ruolo svolto dai militari sulle navi in azione anti-pirateria, altro settore in cui i dati sono stati travisati (da noi, senza aiuti dall’esterno) e mi limito a illustrarvi quanto ho raccolto riguardo alle indagini e alla verifica delle prove, in una conferenza che tenni al R.C. Riccione nel febbraio scorso. Da allora novità specifiche del caso non mi risulta ce ne siano state, ma di nuovo ci sono i rispettivi governi dei due Paesi: Renzi da noi e l’iper-nazionalista
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Le indagini sono state condotte dalle autorità indiane, con quasi nessuna possibilità di avanzare obiezioni da parte italiana.
Esiste tuttavia una controperizia, firmata dall’ingegner Luigi Di Stefano (già facente parte dell’Istituto nazionale di Fisica nucleare, perito di parte Itavia nel processo di Ustica) che esamina i dati cruciali che riguardano
- l proiettili,
- la traiettoria,
- il luogo e l’orario dell’incidente.
I proiettili sono stati identificati dall’autopsia sul corpo di uno dei pescatori uccisi, effettuata dall’anatomo- patologo professor Sasikala, il quale ha registrato minuziosamente le misure di proiettili che risultavano esattamente di calibro 7 e 62, un calibro che non era in dotazione dei marò italiani. (Bensì corrisponde ai proiettili in dotazione ai militari dello Sri Lanka, che ha una pluriennale storia di conflitti con i pescatori indiani, e con il Kerala in particolare)
Ciò avrebbe dovuto scagionare i marò senza indugio. Invece è stato dato il via a una inutile (perché bastava il confronto proiettile/fucile) perizia balistica, che ha indicato pallottole del calibro usato dai fucili Beretta, e guarda caso, a questo punto si era saputo che erano quelle le armi in dotazione ai marò.
Dopo di che, il professor Sisikala non è stato più disponibile a parlare con la stampa.
È il caso di annotare che il calibro 7,62, è usato dalla guardia costiera dello Sri Lanka, da anni in conflitto con l’India, e con il Kerala in particolare, proprio per contese riguardanti le zone di pesca.
Non tornano neppure le tracce lasciate dalle pallottole sul peschereccio, il «Saint Antony», che risultavano arrivate in orizzontale e addirittura dal basso, come attestato dalle foto scattate dall’inviato del Corriere Giuseppe Sarcina, arrivato subito dopo l’evento. Meno male che almeno quelle foto lì della prim’ora ci sono. Mostrano tracce incompatibili con colpi provenienti da un’altezza di 35 metri, qual è quella del ponte dell’Enrica Lexie, dove si trovavano i marò. Ma 4 mesi dopo l’incidente, il padrone del Saint Antony ha ottenuto il dissequestro del peschereccio, e lo ha smontato togliendogli il motore e altre cose, perché, diceva, nessuno vi sarebbe voluto salire mai più. Poi ha lasciato che la carcassa affondasse nell’acqua, per cui si sono lavate e deformate le tracce. Sui solchi lasciati dai proiettili si sarebbero potuti fare (ha commentato Luigi Di Stefano) dei prelievi per verificare la presenza di residui di polvere da sparo col sistema gas-cromatrografico o con lo spettrometro di massa. Ma ormai, anche in questo, varranno i soli rilievi dei periti del Kerala.
Quanto alla descrizione della nave da parte del proprietario del peschereccio, all’International Maritime Bureau, risulta essere stata presente in zona una petroliera greca, l’Olympic Flair, che ha denunciato di essere stata coinvolta in un attacco di pirateria. Questa nave ha gli stessi colori e la stessa stazza della Enrica Lexie.
Neanche la posizione del peschereccio «Saint Antony» risulta combaciare con quella della nave su cui erano in servizio i marò: la Guardia costiera indiana ha sostenuto che il peschereccio con i corpi delle vittime è rientrato in porto alle 18,20, in piena luce (il crepuscolo a Kochi quel giorno si concludeva alle 19,47), Invece le immagini del peschereccio che entra in porto, visionabili credo ancora adesso su YouTube, mostrano un buio pesto, possibile indice di un orario molto più avanzato e quindi di una provenienza molto più lontana.
In alternativa, come ha sostenuto Tony Capuozzo a Canale 5, il buio pesto poteva indicare non la provenienza lontana, ma l’orario che non coincideva. A conferma di ciò, infatti, il proprietario della barca, Freddy Bosco, al suo arrivo in porto ha dichiarato alla tv che l’evento era avvenuto alle 21,30.
https://www.facebook.com/photo.php?v=329383907193937
Quanto al luogo, i dubbi avrebbero potuto essere risolti dall’ Ais, Automatic Identification System, che dal dicembre 2004 rileva minuto per minuto la posizione di tutte le navi che superano le 299 tonnellate. Ma il tracciamento della Lexie si è fermato misteriosamente al 6 febbraio, indice di un transponder in avaria. L’uccisione dei pescatori indiani, attribuito ai marò, è avvenuto nove giorni dopo.
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Com’è noto il governo Monti produsse anche due spettacolari andirivieni dei marò in ridicole licenze (per venire a votare!) che hanno prodotto tre principali effetti
- dare lustro – anche se per poco – all’immagine dello stesso Presidente del Consiglio, la cui fotografatissima stretta di mano ai marò di fronte agli elettori poteva aiutare,
- confermare agli occhi del mondo lo stereotipo deteriore degli italiani che sarebbero costituzionalmente dediti ai sotterfugi per sfuggire alle proprie responsabilità, e
- demoralizzare gli italiani stessi, e in particolare le forze armate, le forze dell’ordine, e le loro famiglie.
Segnalo al riguardo le dichiarazioni di Vinod Sahai, il capo della comunità indiana in Italia, che la strada per salvare i marò l’aveva trovata, ma fu stoppato da… Roma:
http://www.ilgiornale.it/news/esteri/potevo-aiutare-i-mar-mi-ferm-monti-991443.html
Trarre le conclusioni da questi fatti sarebbe facile se non fossero conclusioni …. incredibili-
In ogni modo, ricordiamoci anche delle dimissioni e delle dichiarazioni, anche recentissime, dell’ex- Ministro Terzi di Sant’Agata, con cui ho avuto un breve scambio di messaggi FB
NOTA
Chi sono i marò, la Brigata San Marco? Il loro motto è “Per mare per terram….” Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono pugliesi, sposati, Massimiliano è padre di famiglia, Salvatore non so. A bordo della Lexie erano, mi risulta, i più in alto di grado della squadra di fucilieri della San Marco. Pare che per questo si stiano oltretutto prendendo le responsabilità di altri (in quanto i fucili che hanno sparato non erano di loro due): in virtù appunto del loro grado. Da notare che appena arrestati la marina militari tolse loro le indennità di missione, per cui le famiglie venivano pure penalizzate economicamente. E’ appena il caso di annotare che nel marzo 2012, durante una tradotta, Massimiliano Latorre si rese protagonista del salvataggio di un reporter del Hindu Times, il quale, caduto in terra, stava per essere travolto da una macchina in retromarcia.
Alessandra Nucci