Riunione ordinaria n. 81 del 21 giugno: “Il Rotary e il declino del paese ” – Gian Primo Quagliano
Relazione settimana
RELAZIONE
IL ROTARY E IL DECLINO DEL PAESE
Curriculum professionale
Gian Primo Quagliano è fondatore e Presidente di Econometrica e del Centro Studi Promotor. Ha una lunga carriera manageriale. Insegna Comunicazione all’Università di Bologna. E’ giornalista, ha diretto diversi periodici. E’ editorialista del Sole 24 Ore. E’ medaglia d’oro dell’Ordine dei Giornalisti.
Curriculum rotariano
Gian Primo Quagliano è socio del Rotary Club Bologna Ovest Guglielmo Marconi ed è stato più volte consigliere ed inoltre membro e presidente della Commissione Relazioni Pubbliche del Club.
Nel 2015 il prodotto interno lordo (Pil) italiano accusa ancora un calo nei confronti dei livelli ante-crisi, cioè nei confronti del 2007, dell’8,37% e in termini assoluti al netto dell’inflazione, è ritornato al livello del 2000. Questa gravissima situazione si è prodotta mentre per il resto del mondo i livelli ante-crisi sono stati già superati con poche eccezioni. Se oltre al Pil complessivo, si considera anche il Pil pro capite, la situazione italiana appare ancora più drammatica. Secondo un’elaborazione del Centro Studi Promotor, pubblicata dal Sole 24 Ore e ripresa da tutti i giornali, nel 2001 il Pil pro capite dell’Italia era superiore del 18,8% rispetto al Pil pro capite medio dei paesi che attualmente fanno parte della UE. Nel 2015 invece il Pil pro capite italiano era inferiore del 3% al Pil pro capite medio della UE. In quindici anni dunque, rispetto alla media degli altri Paesi dell’Unione, l’Italia ha perso quasi 22 punti percentuali, passando dal novero dei paesi ampiamente sopra la media a quello dei paesi sotto la media. Questo passaggio “dalla serie A alla serie C” ha riguardato solo l’Italia ed è il segno più chiaro ed evidente del declino che sta interessando il nostro Paese, che non è però un declino soltanto economico.
Analizzando più a fondo i dati economici, emerge anche un altro aspetto rilevante che non è messo in luce dall’andamento del Pil pro capite che è una grandezza economica determinata dividendo il Pil complessivo per il numero degli abitanti. Si tratta quindi di una media che, come tutte le medie, descrive soltanto un aspetto del fenomeno esaminato e in questo caso concreto indica quale sarebbe la quota del Pil spettante ad ogni abitante se il Pil totale fosse diviso equamente tra tutti gli abitanti. In effetti questa situazione non si è mai verificata, come tutti sappiamo. Per avere quindi maggiori informazioni sull’andamento della ricchezza (o della povertà degli abitanti di un paese) occorre considerare anche come il Pil pro capite si distribuisce.
Certamente non si distribuisce in misura uguale per tutti, ma vi sono delle forti disuguaglianze. E’ questa una caratteristica di tutti i sistemi economici e quindi anche dell’Italia. Non si tratta certo di una novità perché gli economisti la stanno studiando da secoli e il più grande statistico italiano, Corrado Gini, elaborò nel 1912 un indicatore per misurare proprio la distribuzione della ricchezza. Si tratta del rapporto di concentrazione di Gini che è l’unico indicatore statistico che porta il nome di un italiano accettato universalmente in tutta la letteratura scientifica economica e statistica.
Questo indicatore, che viene elaborato sistematicamente dagli istituti di statistica e dalle banche centrali di tutto il mondo, dice che prima e durante la crisi iniziata nel 2008, in Italia, ma non solo in Italia, vi è stato un aumento della concentrazione della ricchezza, cioè una quota crescente di ricchezza si è concentrata su una quota decrescente di persone. Detto in parole povere, i ricchi sono diventati più ricchi e i poveri sono diventati più poveri. Il risultato, secondo gli ultimi dati dell’Ocse, è che in Italia l’1% della popolazione detiene il 14,3% della ricchezza e il 20% della popolazione ne detiene ben il 61,6%. A ciò si aggiunge che il 40% più povero della popolazione possiede soltanto il 4,9% della ricchezza e all’interno di questo 40% vi è una quota importante di persone che non possiedono assolutamente nulla.
Può piacere o non piacere, ma al di là delle opinioni personali sulla giustizia sociale, vi è un dato di fatto economico inconfutabile costituito dalla circostanza che la concentrazione della ricchezza, quando supera un determinato livello, diventa un fortissimo freno allo sviluppo economico in quanto i consumatori, con il progressivo concentrarsi della ricchezza, finiscono per non avere più di risorse sufficienti per sostenere la crescita. La concentrazione della ricchezza è una delle cause a cui è imputabile il declino economico dell’Italia, ma non è l’unica e neppure la più importante perché il fenomeno si è accentuato durante la crisi, ma esisteva anche prima.
Ben più importante nei primi tre lustri del 2000 è stato l’impatto sulla nostra economia dell’appartenenza all’Unione Europea e della scelta di entrare nell’euro. Questa scelta negli anni ’90 ha frenato il nostro sviluppo economico per l’esigenza di “centrare i parametri di Maastricht” e poi, entrati nel sistema dell’euro, ha avuto conseguenze ancora più nefaste. Questa scelta ci ha impedito, infatti, di portare avanti politiche economiche finalizzate a superare la crisi del 2007 e comunque finalizzate a perseguire una politica di crescita economica, che è assolutamente necessaria, dato che nel nostro Paese esistono ancora grandi fasce di popolazione in condizioni di miseria e dato che la decrescita felice è un’idiozia per intellettuali in cerca di successo nei salotti radical-chic o per cretini di ogni tipo.
L’impatto dell’euro sul nostro declino economico è indubbiamente importante, ma le cause principali sono tutte italiane e la prima va ricercata a monte dei comportamenti economici, anche perché il declino del Paese non è soltanto economico, ma è un processo che investe tutti gli aspetti della nostra società, con pochissime eccezioni. La causa prima è la crisi morale ed etica, che interessa anche altri paesi, ma da cui non è certo immune l’Italia. Negli ultimi decenni ci si è progressivamente abituati a pensare che tutto sia lecito, anche perché si dice “tanto lo fanno tutti”. In realtà non è vero che tutti abbiano comportamenti immorali, ma il numero di coloro che sembrano non percepire la differenza tra il bene e il male e che si comportano soltanto secondo il proprio tornaconto personale, sia nelle questioni private che in quelle pubbliche, è fortemente aumentato e sembra destinato ad aumentare ancora. A tutto ciò si aggiunge che l’efficienza del sistema italiano (economico e non solo) è fortemente minata da un assetto istituzionale sempre più complesso ed articolato che costituisce, da un lato, una piovra che drena risorse indispensabili per lo sviluppo e, dall’altro, una fortissima remora per tutti coloro che hanno intenzione di campare elusivamente del loro lavoro, sia questo lavoro salariato, autonomo o imprenditoriale.
Se questa è l’attuale situazione del nostro Paese, che cosa può fare il Rotary, visto che il tema che ci siamo dati è “Il Rotary e il declino dell’Italia”. Certo i service sono molto importanti e qualificanti e vanno sicuramente nella direzione giusta. Certo interessanti conferenze sulla cultura e la scienza costituiscono un arricchimento per tutti i rotariani, anche se vengono “somministrate” dopo un lauto pasto che, più che alla speculazione filosofica, induce al sopore post-prandiale. Ma al di là di tutto questo, che cosa si può fare?
Quando la casa brucia si può continuare a nutrirsi di cultura, di scienza, di opere di carità e di buone intenzioni?
Gian Primo Quagliano