Riunione ordinaria n. 9 del 21 dicembre 2019: Quale festa è il Natale!?
Relazione settimana
NATALE TRA NOI
La riflessione che quest’anno ci accompagna ad entrare nel mistero del Natale giunge da Romena (Ar), dove l’antica Pieve dell’XI secolo nell’incontro con lo spirito creativo e visionario di don Luigi Verdi ha dato vita ad un autentico polmone spirituale incastonato ai piedi delle Foreste casentinesi e ad una fucina di bellezza che risveglia benedetta nostalgia di Dio in chi incrocia la propria via con quella di Romena.
L’identità carismatica e la vocazione di Romena, rivelate nella scritta “In tempore famis” incisa nella pietra di un capitello originale della Pieve, parlano dell’esperienza della fame come archetipo dell’esperienza della crisi iscritta nella nostra umanità, ma a cui l’Incarnazione e la Resurrezione di Cristo hanno donato una nuova e inedita possibilità di pienezza: l’oro nelle ferite, per utilizzare un’espressione tanto cara a don Gigi. Ad indicare che la sequela Christi conduce dentro la carne di un’umanità tanto bella quanto disperata per trasformarla in una nuova Bet-lehem, casa del pane, dove dopo due millenni si perpetua ancora il mistero del Natale, la nascita del Figlio di Dio che abita, condivide e salva l’uomo.
Che c’è di meglio che svegliarsi il giorno di Natale, all’ora giusta, quella che desiderano gli occhi, ascoltare parole d’amore e pelare patate?
Già, dopo un bel caffè donato appena pronto a Silvano che sta partendo per la sua messa a Moggiona, che cosa potevo fare di meglio se non dare una mano a Carla che ha da preparare il pranzo natalizio? E così nella mia insignificanza culinaria, ecco che almeno le patate posso, e faccio. Dieci minuti, nulla di più. Ma che bello sentire le patate nelle mani, pelarle e tagliarle, e intanto fare due chiacchere, intrattenersi in semplice compagnia e concludere con un grazie ricevuto, per un nulla fatto, per un nulla dato. E poi regalare altri dieci minuti a Rosalba che vuole confessarsi, che è più una coccola cercata, ricambiata col suo parlare bambino, coi suoi occhi ingenui.
Quello che c’è! Ecco qua, solo quello che c’è, e poi tutto il resto, ma prima esserci e starci, e avere occhi che sanno leggere, tra le righe quando non tutto è così elementare, e dare qualche minuto alla vita vera che hai dinnanzi, non solo sfiorarla come quei due, un sacerdote e un levita per giunta, e far finta di non accorgersi, ma come il samaritano che semplicemente fa quello che c’è da fare, e si inventa un nuovo decalogo, nuovi dieci comandamenti tutti propositivi, tutti dediti al fare: “Un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto(1), lo vide(2) e ne ebbe compassione(3). Gli si fece vicino(4), gli fasciò le ferite(5), versandovi olio e vino(6); poi lo caricò sulla sua cavalcatura(7), lo portò in un albergo(8) e si prese cura di lui(9). Il giorno seguente, tirò fuori due denari(10) e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”. Se qualcuno dovesse proporre di cambiare il decalogo, io sono il primo a dare il mio assenso, sia chiaro!
E come poteva esser il tempo in questo Natale? Bizzarro ovviamente. Per nulla neve e parecchio tiepido, quasi caldo: che storia! Diverso insomma, come diverso è ogni Natale. E noi che ancora diffidiamo del ‘nuovo’, lo vediamo tuttalpiù strano, come qualcosa che non rientra nelle nostre regole, nei nostri calcoli. Che bello invece questo Dio sempre nuovo, questo fanciullo senza nulla, solo un seno cui succhiare la vita e due braccia robuste a proteggerla: un bambino come tutti, senza alcun privilegio, anzi. Pazzo questo Dio! Che pericolo ha corso a far partorire suo figlio in una stalla, al freddo, senza levatrice pronta ad ogni imprevisto, con tutte le possibili problematiche che un parto così poteva portare con sé. Un Dio rifiutato prima ancora di nascere, festeggiato solo da uomini che facevano del cielo il loro tetto: pastori e magi, uomini considerati alla stregua di animali e personaggi lontani anni luce dalla tradizione in attesa di un messia.
Vogliamo provare una benedetta volta a imitarli e rischiare, a guardare un po’ più in su del nostro naso? Che sia proprio questa cosa qui, Natale? Lasciare che tutto possa succedere, ma avere il coraggio di Maria, che sola contro tutti, porta avanti una gravidanza additata dai molti come impura, che odora di tradimento, di infedeltà? E che la gioia sia di chi sa lasciare alle spalle tutti questi giudizi e si mette in cammino come lei, e va a condividere il suo miracolo e a dare una mano ad Elisabetta che porta in se un altro miracolo di vita? Forse è così che nasce una gioia di pancia, una gioia che tocca, che massaggia il centro del nostro corpo e da li si propaga nel resto della vita: semplicemente dando una mano!
( a cura di Cristina Franchini)