Relazione settimana

LA NONNITUDINE

di  Gianvincenzo Luchini 

Capita, viaggiando, di guardare con ammirazione – o invidia – ville splendide che sfilano accanto alla nostra auto. Non sempre, però, riflettiamo sul fatto che chi in quella villa vive, si sveglia guardando un’autostrada, il cui fascino è alquanto discutibile.

E’ un fatto di prospettiva: ognuno vede le cose dal proprio punto di vista, sia esso geografico, mentale o etico. 

Ho “viaggiato” spesso in vita mia, sfrecciando davanti a dei nonni. Ricordo i miei, ho visto amici diventarlo, mi sono commosso di fronte a film e romanzi pieni di nonni amatissimi. Non so se lo avete notato, ma dei genitori esiste, nella narrativa in genere, tutta la gamma, dai migliori ai peggiori. I nonni, invece, sono quasi sempre buoni.

Ma non ho mai pensato veramente che sarebbe successo anche a me. Certo non lo escludevo, ma ne parlavo come di quelle cose che sei certo ti accadranno, ma non ritieni importante prepararti al loro arrivo. 

Quando, in pizzeria, nostro figlio e sua moglie ci annunciarono la lieta novella, il mio cuore si gonfiò di felicità tutta paterna, senza che il nonno – che stava lì, inequivocabilmente in seconda fila – facesse neanche capolino. Poi Zoe è nata, arruolandomi senza alcuna pietà nella categoria, ma, ancora, il fatto di essere suo “nonno” non riusciva ad emergere dal suo brodo primordiale, facendo scoccare la scintilla di consapevolezza che tutti, amici, parenti e letteratura, predicavano invitabile. Ad essere travolto dall’amore per questa piccolina ero sempre io, l’adolescente che suonava la batteria e si era innamorato della sua ragazza, che aveva poi sposato e con la quale aveva avuto un figlio meraviglioso, che, a sua volta, aveva ripetuto il miracolo. In una parola, adoravo la figlia di mio figlio. 

Poi un giorno, neanche troppo tempo fa, Zoe mi ha zampettato intorno, come fa quando sta pensando di coinvolgermi in una delle sue complicate e teatrali fantasie, mi ha preso un dito per portarmi solo-lei-sa-dove ed ha esclamato: “gnonno”.

In quel momento la consapevolezza mi ha colpito impietosa, violenta e implacabile. Con essa hanno iniziato ad emergere tutti i corollari della nonnitudine. L’età, ormai lontana dalla giovinezza, che pur ricordo così bene che potrei viverla; la promozione sul campo alla categoria dei nonni, comunemente visti come un gruppo di simpatici vecchietti che traghettano – più o meno serenamente – dalla pacata saggezza al rincoglionimento; la percezione che, nell’albero della vita, sono entrato nell’ultima categoria, non essendo lecito fare progetti sull’ipotesi di nonnitudini “bis”. 

Ammetto che non è stato inizialmente piacevole. Ogni “gnonno” in forma vocativa (l’unica a disposizione di Zoe, per ora) mi dava un piccolo ma antipatico colpo allo stomaco, come accade quando ricordi improvvisamente una cosa sgradevole che eri riuscito a rimuovere.

Per restare nel campo della “prospettiva”, non so se condividete una impressione che io ho, fortissima, sull’invecchiamento. Per tutta la mia vita mi sono sentito più giovane di quanto fossi. Non tanto essere nonno, quanto sentirmi tale, mi ha bruscamente imposto un allineamento tra percezione ed anagrafe.

Poi tutto è andato come doveva andare. La consapevolezza del mio nuovo status è sedimentata ed è diventata semplice accettazione di un cambiamento avvenuto, per l’ennesima volta, nella nostra vita. E dall’accettazione del cambiamento nasce, come mi insegnò Susanna un giorno d’estate del 1980, la serenità e, a volte, la felicità. 

Ho trovato quindi nuove sfaccettature dell’amore verso la mia meravigliosa famiglia, senza perdere quelle vecchie e non ho smesso, grazie a Dio, di vivere come se ci fosse sempre un domani per fare le cose che non ho ancora fatto. E, last but not least, ho iniziato veramente a sentire, come “nonno”, che Zoe è anche un po’ mia.

Poi, un giorno, è tornata da me, mi ha preso il dito e mi ha detto “Cenzo”! 

Ma il nonno (come sa chiunque abbia esperienze di naja) a un certo punto diventa stanco; allora le ho ho sorriso e l’ho seguita, smettendo di pensare a me e dedicandomi a lei.