Riunione ordinaria n. 19 del 25 novembre: "Contraffazione e criminalità organizzata" – Antonio Selvatici
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Antonio Selvatici
(- giornalista pubblicista dal 1994 – Camera dei Deputati. Consulente della Commissione Parlamentare di inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale, XVI legislatura – Docente al Master d’Intelligence Economica – Università degli Studi di Roma Tor Vergata – collabora con istituti di ricerca, coordina progetti di ricerca – collaboratore de “il Giornale” – autore d’importanti inchieste giornalistiche – autore di saggi e pubblicazioni scientifiche)
Contraffazione e criminalità organizzata
(Estratto da: “Unioncamere Veneto, La situazione economica del Veneto, Rapporto annuale 2014)
Premessa
Per affrontare dal punto di vista economico il tema della contraffazione è indispensabile chiarire innanzi tutto alcuni aspetti.
In pochi anni la contraffazione ha assunto un ruolo sempre più importante all’interno del settore dell’economia illegale. Appartenendo a tale sistema, i numerosi soggetti che vi operano non depositano bilanci, non rilasciano fatture e non emettono scontrini fiscali. Ciò implica che è di fatto impossibile misurare con precisione il peso del fenomeno della contraffazione sul tessuto produttivo e commerciale del nostro Paese.
Per quanto riguarda l’importazione e la diffusione di merce contraffatta, proveniente principalmente dalla Cina[1] deve essere chiaro che è la camorra che gestisce buona parte di questo nuovo business, così come hanno evidenziato recenti importanti inchieste condotte dalle forze dell’ordine. Per quanto riguarda le imprese cinesi con sede in Italia, le numerose indagini effettuate dai vari corpi di polizia hanno dimostrato come nella maggior parte dei casi viene utilizzata anche manodopera illegale che è sfruttata fino a privare le persone della libertà personale. Si tratta di lavoratori “schiavizzati” perché devono restituire quanto pagato per il viaggio e per l’avere ottenuto il permesso di soggiorno. Buona parte dei fatturati, quasi la metà nel distretto industriale cinese di Prato, non viene registrato. Questa sistematica violazione delle regole di mercato rende automaticamente non competitive quelle imprese che invece seguono le regole.
Deve essere chiaro che dietro le borsette si cela una vera “filiera del dolore”, un sanguinante e mal celato paravento. Non è un caso se “contraffazione” fa rima con “disoccupazione”.
Anche il fisco è vittima del sistema produttivo delle merci contraffatte in quanto non riesce ad incidere dove le norme vengono disattese. La “fabbrica fantasma” con “operai fantasma” non reca alcun contributo alle bisognose casse pubbliche. Paradossalmente il ciclo produttivo della contraffazione (è un aspetto che riguarda tutta l’economia illegale) sottraendosi al peso e gli oneri che la burocrazia impone la rende più efficiente e snella di un analogo sistema legale.
I danni provocati dal fenomeno della contraffazione
Come già anticipato, non è semplice quantificare con cifre e dati il danno che la contraffazione reca all’economia del nostro Paese. Per meglio capire la gravità del fenomeno quindi, è possibile dividere in sei ambiti le varie tipologie di danno che ne conseguono. Se poi, con pazienza, sommiamo tra loro queste sei categorie, risulta evidente quanto il fenomeno della contraffazione sia dannoso per la nostra economia.
1. Danno economico:
– le imprese vittime della contraffazione perdono competitività;
– si deprime l’innovazione.
2. Danno sociale:
– disoccupazione;
– aggravio oneri sociali per sostenere il sistema di protezione delle fasce deboli;
– incremento movimenti di protesta;
– danni alla salute del cittadino;
– proliferazione della criminalità organizzata;
– incremento del consenso locale della criminalità attraverso l’offerta di lavoro.
3. Danno all’erario:
– minori entrate dalle imprese non più competitive;
– nessuna entrata dal sistema economico parallelo.
4. Danno al sistema finanziario/creditizio:
– pagamenti di merci e servizi effettuati con sistemi alternativi a quelli regolamentati;
– immediato trasferimento di capitali in altri paesi;
– sottrazione dal circuito economico di massa monetaria disponibile.
5. Danno politico:
– indebolimento del tessuto economico;
– opportunità di acquisti d’imprese;
– trasferimento di potere;
– acquisti strategici (energia,sistemi di comunicazione, credito…).
6. Danno etico:
– la contraffazione è un modo “passivo” di produrre: il profitto, il “denaro facile” diventa l’unico fine del sistema;
– mancano alcuni elementi fondamentali che caratterizzano l’impresa sana: la passione per il lavoro, l’etica, i sentimenti.
Il sesto punto, non certo ultimo per importanza, abbisogna di alcune righe d’approfondimento. Sappiamo che il tessuto produttivo italiano è formato da piccole e medie imprese dove, spesso, la proprietà è parte integrante dell’impresa. Soprattutto nelle imprese più piccole i principi dell’economia s’intrecciano con quelli della sociologia diventando rapporti affettivi. Questi comportamenti e questi sentimenti hanno ben poco a che fare col fabbricare e con lo smerciare merce contraffatta, sistema in cui prevale la logica di un profitto che rende sterile tutto ciò che lo circonda.
Ho inserito nel danno economico anche la tendenza a deprimere l’innovazione. Anche se di questo si potrebbe discutere, in quanto alcune importanti imprese, per difendersi dalla diffusione delle copie illegali, hanno adottato sistemi di identificazione e tracciabilità ad alta tecnologia. In alcuni casi si è ripensato l’intero sistema di gestione della produzione. Però questo non dovrebbe far pensare al processo di distruzione creatrice teorizzato dall’economista Joseph Shumpeter[1], perché per quanto riguarda la contraffazione la concorrenza non ha come base un sistema di regole comuni e condivise. Gli attori economici giocano la stessa partita ma con regole differenti.
Camorra e contraffazione
Per comprendere il nesso tra contraffazione e camorra, è opportuno partire da quanto recentemente scritto dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli.[2] Nell’ambito dell’operazione denominata “Via della Seta” a metà gennaio del 2014 il Giudice per le indagini preliminari ha emesso 49 ordinanze di custodia cautelare nel confronti di Luciano Mazzarella (reggente dell’omonimo clan camorristico) e di altri soggetti o appartenenti allo stesso clan o di altri sodalizi criminali in qualche modo legati con quello di Mazzarella. Ciò che si trova scritto nel documento della DDA non lascia spazio ad interpretazioni: “dalle indagini è emerso in maniera chiara come il citato clan camorristico abbia creato una vera e propria holding in materia di contraffazione, con interessi di livello internazionale, per quanto riguarda l’importazione dalla Cina e la commercializzazione di merce con marchi contraffatti”. Sono stati sequestrati 18 locali adibiti a opifici clandestini e a depositi di merce; 442 macchinari ad uso industriale adibiti alla produzione del materiale contraffatto; circa 300.000 capi di abbigliamento. Dopo un mese la stessa DDA ha coordinato un’altra inchiesta che ha portato alla denuncia di 40 persone[3]: “Tutti i sodalizi criminali individuati operavano nel settore dell’illecita introduzione sul territorio nazionale e comunitario di capi di abbigliamento contraffatti, nell’intento di soddisfare una fetta di clientela ampia e variegata. Infatti le importazioni erano effettuate sia dalla Cina (per la clientela meno esigente) sia dalla Turchia (per i clienti disposti a spendere di più, pur di avere un capo del tutto identico all’originale)”. Sono stati sequestrati 412 mila capi di abbigliamento, calzature, borse, occhiali ed accessori riportanti logo e marchi contraffatti, 16 locali adibiti a opifici clandestini e a depositi di merce, 24 macchinari, cliché, automezzi ed altri beni.
I due sequestri ravvicinati rafforzano la tesi secondo la quale l’importazione e la commercializzazione di merce contraffatta sia diventata una delle principali attività economiche di alcuni potenti clan camorristici. La produzione (anche se il termine è riduttivo) di merce contraffatta si può paragonare a quello di un sistema economico sano. Vi è una perfetta corrispondenza tra le vari fasi dei due sistemi: approvvigionamento, utilizzazione forza lavoro, organizzazione, produzione, gestione subfornitori, stoccaggio, trasporti, distribuzione e pagamenti (catena del valore), ma tutto è illegale. In più, è favorito, come abbiamo visto, da una maggiore flessibilità data dalla violazione delle regole e degli adempimenti burocratici (vantaggio competitivo).
Se vi è chi produce ci deve essere anche chi vende e chi compra. Abbiamo visto che, nell’ambito degli acquisti consapevoli, l’acquirente è immaturo e non sufficiente informato tanto da considerare l’acquisto “socialmente accettato”. L’utente finale è molto attratto dal buon prezzo e addirittura si erige a giudice pensando di “punire” le grandi griffe colpevoli di posizionare i loro prodotti in un segmento di mercato troppo elevato. Se è vero che alcuni noti clan della camorra importano, producono e distribuiscono grandi quantità di merce contraffatta, chi acquista e rivende in grandi quantità tali prodotto agisce in perfetta buona fede? Non è forse ipotizzabile che alcuni importanti centri dove si smerciano grandi quantità di merce contraffatta non siano in qualche modo legati ai noti clan? Naturalmente queste sono solo domande provocatorie che però dovrebbero far riflettere chi effettua le indagini a livello locale.
[1] http://www.treccani.it/enciclopedia/joseph-alois-schumpeter_(Dizionario-di-Economia-e-Finanza)/ [2] Giovanni Melillo, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Direzione Distrettuale Antimafia, Comunicato Stampa, 17 gennaio 2014 [3] Giovanni Melillo, Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, Direzione Distrettuale Antimafia, Comunicato Stampa, 5 febbraio 2014 |
[1] La Cina è il maggior produttore di falsi al mondo, è sufficiente sfogliare il 2013 Special Report, http://www.ustr.gov/sites/default/files/05012013%202013%20Special%20301%20Report.pdf |